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 2010  aprile 13 Martedì calendario

RILEGGERE BASSANI OLTRE IL GIARDINO DELLE IDEOLOGIE

Dedicò il suo romanzo più intenso ad uno dei suo personaggi. Questa indole romantica, e narrativamente potente, aiuta a capire perché, a dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Bassani, la sua opera letteraria risulta una delle più rilevanti del Novecento italiano. Giorgio Bassani amava la letteratura. La difese, gli dedicò tutta la vita e la portò verso il grande pubblico: la rese insieme una pratica nobilissima e popolare. Il suo testo più impegnativo e stratificato, quella tragedia greca irrigata da un dramma rosa che è Il giardino dei Finzi-Contini (del 1962) fu dedicato infatti proprio a Micòl, enigmatica protagonista femminile.
La sibillina e affascinante creatura di carta, ineffabile come le più grandi eroine letterarie – Beatrice, Giulietta, Albertine – ricevette la dedica del romanzo, come se lo scrittore ferrarese volesse illustrare un concetto: la letteratura è seria come la vita, anzi la vita e letteratura sono così mescolate tra loro che separarle è un’operazione impensabile.
Bisogna dire subito che l’amore verso la letteratura non è cosa scontata tra i letterati. L’amore verso il romanzo non è sempre condiviso dagli intellettuali e neanche dagli scrittori. L’accusa più celebre e dolorosa che Bassani ricevette gli fu rivolta non da avversari politici o da nemici lontani, ma da quel gruppo di ideologi che si riunirono nel famigerato ”Gruppo 63”. Letto il Giardino (che nel 1962 commise il tremendo errore di vincere il Viareggio e di vendere centomila copie in cinque mesi), dissero che Bassani e Cassola erano i Liala della letteratura. Potevano cioè essere ridotti a dei semplici intrattenitori di scarsa profondità, sdolcinati pennivendoli che cedevano alla scrittura di romanzi con l’intento di scaldare i cuori delle signore.
In quei tempi, Pasolini fustigava Cassola che aveva vinto lo Strega. Renato Barilli, a proposito di Bassani, parlava di una «narrativa troppo esile e vuota per poter valere sul piano della normalità, della tradizione ottocentesca, e d’altra parte troppo timida ed esitante a far valere come pregi, come elementi propri di una visione forte e originale, quel suo stesso senso di grigiore e di pochezza quel suo ”esser fatta di niente”». Alla lunga, questi presunti intellettuali della neo-avanguardia riuscirono a far saltare i nervi anche al giocatore di tennis Giorgio Bassani, bersaglio di quella «guerriglia letteraria», che alla fine esplose: «gli esponenti della neo-avanguardia italiana sono davvero capaci di tutto. Infinitamente indulgenti verso se stessi e i propri ”testi” (così li chiamano), non sanno mai rinunciare a niente. Sono aperti, apertissimi. Possono fare per esempio i professori universitari, giacché la carriera universitaria è pur sempre la carriera universitaria».
Sempre nel 1963 avvenne anche la rottura con Feltrinelli. Bassani aveva letto Fratelli d’Italia di Arbasino ma non pensava che così com’era quel libro fosse pronto per essere pubblicato. Bisognava lavorarci ancora, ma si malignò, e si disse che il rifiuto di Bassani era dovuto ad altro, non a questioni letterarie. Alla fine, senza avvertire Bassani, Fratelli d’Italia venne pubblicato in un’altra collana sempre di Feltrinelli. Avvenne lo strappo. E non fu tutto. Subito dopo fu anche accusato di spionaggio editoriale e i suoi cassetti furono forzati per cercare le prove di tale scorrettezza. Il tribunale dette ragione a Bassani.
Dieci anni più tardi, nel1973, fu invitato ad una trasmissione televisiva con Garboli, Pasolini, Asor Rosa, Paolo Ravenna e alcuni studenti romani. Come ricorda Cotroneo, nell’introduzione del Meridiano Mondadori, Fortini raccontò l’episodio così: «Gli intervistati studenti romani, davvero poco brillanti, avevano una sola parola e una sola preoccupazione, la ”denuncia sociale” (…) si lamentavano che non ci fosse abbastanza ”problematica” antifascista e ”denuncia” delle persecuzioni razziali». E così Asor Rosa insisteva sul Bassani «mortuario e iperdecadente», tralasciando quello più «costruttivo».
A dieci anni dalla morte è evidente che la letteratura italiana dovrebbe guardare a Giorgio Bassani per ricostruire una tradizione forte e nuova del romanzo italiano. Bisognerebbe oggi dimenticare le polemiche contro la forma romanzo che hanno intasato gli anni Sessanta e Settanta e dimenticare gli intellettuali che male interpretando la funzione della letteratura la schiacciavano sulla politica. Per riportare il romanzo italiano a forme alte e qualificate bisognerebbe rileggere Gli occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi-Contini, Dietro la porta, L’airone. Si dovrebbero dimenticare tutti quelli che hanno intralciato la naturale via di sviluppo del romanzo italiano. E quando qualcuno parla di «Edoardo Sanguineti», bisognerà rispondere «E Sanguineti chi è?». Chi ha così odiato il romanzo può uscire dalle storie letterarie. Adieu.
Una parte più lungimirante della critica letteraria italiana, guarda al passato cercando di scrostare i giudizi ideologici sugli autori novecenteschi. A dieci anni dalla morte di Bassani, per esempio, è uscito nelle librerie un volumetto di Marilena Renda, intitolato Bassani, Giorgio (Gaffi, pp. 179, euro 10), che legge l’opera di Bassani in profondità, nelle pieghe testuali, riportando alla luce proprio «l’assunzione di responsabilità» presente nell’opera dell’autore ferrarese. Ciò che i neoavanguardisti non vedevano.
La Renda indaga i punti in cui i grandi temi della narrativa di Bassani emergono nei silenzi, nelle parentesi, nelle reticenze. qui che la sua judeité, il suo impegno morale, la sua complessità stilistica e simbolica lavorano per generare un universo narrativo capace di spiccare nel panorama spesso rissoso, eccentrico o auto-compiaciuto della letteratura italiana del secondo novecento. La rivoluzione letteraria di Bassani non si può sintetizzare in un programma politico. La sua forza romanzesca e i suoi temi coincidono spesso con la scelta del punto di vista di un outsider che narra la storia. Scrive Marilena Renda: «La scrittura si rivela, così, assai meno tranquillizzante di quanto avesse lasciato supporre una prima lettura. La sua superficie lascia trasparire tensioni che rivelano un discorso ”secondo” di interesse anche maggiore. il discorso della persecuzione e dell’esilio che Bassani sceglie di non rappresentare se non indirettamente: sotto il segno della reticenza e del pudore».