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 2010  aprile 14 Mercoledì calendario

IL FIGLIO DI VANACORE: «MIO PADRE NON AVEVA NIENTE DA NASCONDERE»

Venti anni di ombre e di silenzi. E ora, Mario Vanacore ha scelto di parlare sperando, forse, di recuperare la memoria di suo padre Pietrino, il cui ruolo nella vicenda di via Poma, nonostante due assoluzioni, rimane misterioso. «Sono ancora molto confuso - dice Mario alla trasmissione televisiva Porta a Porta in onda stasera - Ma qualche dubbio mi è venuto e ce l’ho tuttora. Non sono io a dover capire cosa è successo, di questo se ne occuperà la magistratura». Suo padre si è ucciso il giorno prima dell’udienza per l’omicidio di Simonetta Cesaroni: era stato convocato come testimone nel processo che vede imputato l’ex fidanzato della vittima, Raniero Busco. Il peso di una simile testimonianza deve averlo schiacciato definitivamente, al punto che ha deciso di farla finita. Sperava forse che così avrebbe avuto diritto all’oblio, ma quella maledizione che lo insegue dal 7 agosto del ”90, con il suicidio ha fatto crescere ancora di più il sospetto. E sull’ex portiere sono continuate a scendere le ombre.
«L’ultima volta che l’ho sentito è stata due o tre giorni prima che si uccidesse - aggiunge il figlio, che vive a Torino e fa anche lui il portiere - e non l’ho sentito scosso». Anzi, sottolinea, «sembrava sereno e tranquillo». Certo, ammette poi, «sono passati 20 anni che potrebbero averlo portato a decidere di fare una cosa del genere. Mio padre sentiva il peso di aver coinvolto involontariamente la sua famiglia. Non era angosciato per paura che uscisse fuori qualcosa di strano ma il fatto di aver coinvolto i suoi familiari lo faceva stare male». Mario esclude categoricamente la possibilità che suo padre si sia tolto la vita perché sapeva qualcosa che non aveva mai confessato. «Una o due volte, in passato, gli ho chiesto se sapesse, se fosse stato minacciato da qualcuno - racconta ancora - e lui mi ha risposto: ”Non lo avrei mai nascosto a nessuno se avessi saputo qualcosa”». In questa storia, sostiene il figlio di Vanacore, «chi ha pagato finora è stato solo mio padre, soprattutto per gli inquirenti e per i giornalisti che si sono accaniti contro di lui». Forse, conclude, «il suo modo di fare, il suo carattere chiuso, può aver fatto pensare che nascondesse qualcosa. Era molto riservato, non voleva mettersi contro nessuno».
Nella trasmissione di stasera ci saranno anche il difensore, l’avvocato Antonio De Vita, e quello dell’imputato, l’avvocato Paolo Loria. Ed è proprio Loria a insistere sulla possibilità che Vanacore sapesse qualcosa. «Non ho mai detto che sia stato lui - spiega - ma sicuramente in qualche modo è stato coinvolto. Altrimenti non si spiegherebbe l’accanimento nei suoi confronti per 20 anni e non si spiegherebbero tutti questi silenzi. Forse qualcuno lo avrà portato dentro, gli avrà chiesto le chiavi dell’appartamento o di fare qualche attività. La stanza dove è stata uccisa Simonetta è stata ripulita e il lavoro è stato lungo». «Anche io - ha poi concluso il legale - se fossi stato l’avvocato di Vanacore, gli avrei consigliato di avvalersi della facoltà di non rispondere, così come ha fatto il suo».
Per Antonio De Vita, infatti, c’era poco da aggiungere a quanto il suo assistito aveva sempre detto. «Se me lo avesse chiesto, gli avrei consigliato di avvalersi della facoltà di non rispondere, perché per la prima volta in vita mia anche io sono esasperato. Non parlavo con lui da 6 anni - ha precisato l’avvocato - e non lo avevo sentito per il processo: ci avrei dovuto parlare il giovedì ma mi fidavo totalmente di lui. Non c’erano ombre, Vanacore è stato assolto due volte». Eppure, ha aggiunto, nonostante la giustizia non fosse riuscita a contestargli niente, «la pressione che c’è stata per 20 anni su di lui è stata terrificante».