MIMMO CÁNDITO, La Stampa 14/4/2010, pagina 18, 14 aprile 2010
CUBA, RAUL PRIVATIZZA I BARBIERI
Se non fosse una notizia che, magari, lascia trasparire possibili - e molto interessanti - evoluzioni del regime cubano, dovrebbe far sorridere sentire da Raúl Castro che, da ora in avanti, i Figaro dell’isola possono tagliare barba e capelli e poi infilarsi in tasca i (pochi) pesos che vengono pagati per il servizio di forbici, pettine, e rasoio. La gran barba di suo fratello Fidel, Líder Máximo di ogni socialismo, e la stessa mitologia del «barbudo» come profilo identitario del rivoluzionario puro e duro, fanno pensare che dei saloni da barbiere il regime non è che fosse un gran frequentatore; e comunque, i barbieri di Cuba non è che fossero poi molto diversi da quelli di Roma o di New York, se non per una piccola caratteristica che il castrismo aveva voluto imporre.
Ci andai da uno, a Santiago, provincia de Oriente, qualche tempo fa, perché con la scusa di farmi tosare volevo farlo chiacchierare (mi pare si chiamasse Miguel), contando sulla certezza che in ogni parte del mondo il primo, fondamentale, dovere professionale di ogni parrucchiere che si rispetti sia la lingua sciolta. Miguel fece onore alla categoria, e quando finì la sua opera non potei non ringraziarlo molto caldamente per la montagna di informazioni che mi aveva comunicato, mentre lui molto compitamente mi ringraziò a nome del suo governo per il servizio che aveva potuto darmi. Perché, Miguel, come un qualsiasi monsù Travet d’un ufficio pubblico, e comunque come tutti i negozianti e i prestatori d’opera di Cuba, era un salariato del regime. Un compagno lavoratore, insomma. E il compagno lavoratore lavorava soltanto per il governo, che poi lo avrebbe retribuito. Più ancora che a Mosca, a quel tempo, che era il tempo di Breznev o Gorbaciov (non più oggi, naturalmente, che è il tempo di Medvedev, di Putin, e dalla mafia travestita da ex nomenklatura del Kgb).
Non so se Miguel sia ancora in sevizio attivo; ma da oggi lui, o chiunque lo abbia sostituito in quel suo negozietto del centro storico di Santiago, tutti i soldi li prenderà ora giorno per giorno dai clienti che andranno a sedersi sulle sue vecchie poltrone di pelle plasticata, e non più a fine mese, come salario dal governo dell’isola. Raúl ha fatto sapere che lo stesso principio di liberalizzazione vale anche per i «saloni di bellezza», purché abbiano meno di tre poltrone da offrire alle gentili signore.
Non è un piccolo cambiamento, questa apertura offerta a Miguel e ai suoi colleghi&colleghe, anche se tale potrebbe apparire pensando al tenace barbone di Fidel. Ora che ogni Figaro dell’isola diventa un prestatore d’opera autonoma - e per questo, naturalmente, gli toccherà pagare le tasse - si romperà il tabù che in un lontanissimo ”68 la Revolución impose ai servizi e ai negozi dell’isola, nazionalizzandoli nell’interesse dell’economia del Paese. Si comincia dal basso, appare evidente; ma ciò che conta è l’attivazione di un processo di liberalizzazione che coinvolga ora, finalmente, una intera categoria.
Dunque, non è più soltanto la possibilità di avere Internet, le pentole a vapore, l’entrata negli alberghi degli stranieri, e perfino l’automobile; che sono state, tutte, iniziative di Raúl, ma che riguardavano i cubani individualmente, uno per uno. Questa volta, a venire liberalizzato è un servizio collettivo, pubblico, finora gestito dall’economia centralizzata; e se è soltanto l’inizio di una nuova linea politica, allora le cose sono davvero destinate a cambiare in profondo.
Viste le esperienze precedenti, bisognerà attendere. Altri processi di liberalizzazione sono stati avviati in passato, nelle campagne, e anche in alcuni servizi delle città: ristoranti privati, affittacamere, qualche conducente di taxi. Ma il dovere dei «liberalizzati», di pagare le tasse, da una parte, e il timore che, dall’altra, il regime aveva, di farsi scappare il controllo d’una parte dell’economia legata alla fiorente «industria» del turismo, hanno finito per spegnere queste iniziative, mentre nei suoi editoriali settimanali Fidel tuonava contro la corruzione del suoi concittadini, contro la speculazione acquattata dietro ogni guadagno borghese, e contro l’amara perdita dello spirito rivoluzionario.
Lo smantellamento di un regime può anche cominciare dal più corrivo, e modesto, dei suoi interpreti. Al recente congresso della Joventud Comunista, Raúl aveva confermato solennemente di voler continuare nel processo di riforma. «Ma piano, e con cautela», aveva detto. Miguel, di Santiago, ora forse capisce meglio che cosa il Presidente-Fratello volesse dire.