Giancarlo De Cataldo, lཿUnità 13/04/2010, 13 aprile 2010
IL PERCHE’ DEL MARAMEO
In principio, c’è il ”Maramao”, così descritto dal dizionario Melzi (1950): ”tipo grottesco di danzatore fiorentino del XVI secolo, rappresentato da un omettino in corsetto, morione (elmo a pennacchio, ndr) dorato, campanelli, scudo e spada”. Il Dizionario Etimologico Battisi/Alessio - altra autorevole fonte di saperi dimenticati (di quando esistevano la lingua italiana, gli studiosi della medesima, nonché il gusto dell’esprimersi in modo civile e persino colto) - sposta il Maramao nel teatro napoletano, facendone una maschera della Commedia dell’Arte. Nell’Ottocento, è sempre lo stesso dizionario a riferircelo, ”maramao” diventa ”marameo” nell’Italia centrale, ”marramao” a Milano, ”marrammau” in Sicilia. Non sappiamo se il gesto del ”palmo di naso” che da allora accompagna la paroletta sfottente derivi dalle
smorfie della maschera teatrale, mentre è abbastanza certo che ”maramèo” è un’onomatopea del miagolìo felino, l’imitazione del verso beffardo del gatto furbo e inafferrabile che, ancora una volta, l’ha fatta franca. E in tal senso, l’enciclopedia Rizzoli-Larousse (1967) definisce il ”marameo” una ”espressione scherzosa usata per significare fossi matto, non me la fai” oppure ”non mi prendi”. Come accade all’amabile truffatore Leonardo di Caprio in ”Prova a prendermi” di Spielberg, o al Totò di ”Guardie e Ladri” (e pensate che quel vecchio capolavoro del ’51 ebbe guai con la censura perché mostrava il volto umano del ladro). O come accade, ogni giorno, e continuerà ad accadere, al ragazzino terribile che l’ha fatta in barba all’autorità, e lascia ”con un palmo di naso” l’austero, rigido e antipaticissimo tutore della legge, incarnando, nella sua fuga anarchica e strafottente, il desiderio segreto di tanti: scamparla, senza pagare dazio. Marameo, appunto.