Andrea Nicastro, Corriere della Sera 14/04/2010, 14 aprile 2010
LA ZONA GRIGIA DELL’INTERVENTO UMANITARIO
Reinhold Perkmann è chirurgo dell’ospedale civile di Bressanone ed è nato il 16 aprile del 1961, stesso giorno e anno di Marco Garatti, uno degli italiani di Emergency in prigione in Afghanistan. Se solo gli arresti fossero stati ritardati di un mese, avrebbe potuto esserci lui in cella a Lashkar Gah. Perkmann era pronto per ripetere l’esperienza dell’anno scorso: tre mesi nell’ospedale di Helmand a curare vittime di guerra. «Un’esperienza fortissima – racconta ”. Ogni giorno un ferito da schegge, pallottole, uscite e non uscite. Mi fa ridere che qualcuno pensi che Emergency discrimini a favore dei talebani. Ame, di sicuro, nessuno ha mai chiesto di farlo. Chi arriva viene curato. Punto. Se taglio una divisa per operare immagino che il paziente sia un poliziotto, ma non per questo lo tratto diversamente da chi ha un turbante e sei pallottole americane in corpo. In ospedale, in qualunque ospedale, sono cose che non si fanno. Siamo medici, abbiamo giurato. Persino i soldati afghani che venivano a trovare un commilitone operato non si mettevano a guardare nei letti vicini se ci fossero dei talebani. E ce n’erano. Ovviamente. In corsia ci si accorge che la vita è più importante della politica».
Perkmann parla dell’aiuto umanitario così come dovrebbe essere. Eppure le Organizzazioni non governative (Ong) veramente neutrali sono come i giornalisti obiettivi: una rarità. L’assistenza o lo sviluppo (i due corni dell’intervento umanitario) finiscono entrambi in una zona grigia perché l’aiuto avvantaggia una parte o un’altra. un fatto che sempre più spesso le Ong non siano percepite come indipendenti. In Afghanistan, ad esempio, si contano sulle dita quelle disponibili a lavorare come Emergency nel Sud talebano e ciò perché i fondamentalisti hanno attaccato le loro sedi, ucciso o rapito i loro lavoratori. Costruire scuole per bambine o scavare un pozzo per coltivare qualcosa in più dell’oppio sono considerate azioni contrarie all’Emirato del mullah Omar. Nel 2008 è stato toccato il record degli operatori umanitari uccisi dai talebani: 33.
Non è certo la prima volta che umanitario e ragion di Stato vanno in tilt. L’Unione Sovietica ha sempre rifiutato ogni permesso alle Ong occidentali per paura che potessero diventare agitprop, centri di spionaggio o di infiltrazione del capitalismo. La Russia di Putin denuncia da anni il ruolo che le Ong americane hanno svolto nelle rivoluzioni colorate degli Anni 90 dalla Georgia all’Ucraina al Kirghizistan.
Le Ong cattoliche hanno un approccio, le laiche un altro, le islamiche un altro ancora. In Africa sin dagli Anni 90 c’è stata una crescita esponenziale di moschee costruite con donazioni saudite, tutte impegnate nella sfida all’ultima merenda con gli oratori cattolici. Certo, la missione è sfamare bambini denutriti, ma di fatto chi riesce a offrire il panino più buono vince la gara delle conversioni. In Sud America la concorrenza è feroce tra cattolici, anglicani, evangelici, avventisti.
A mezz’ora di auto dall’ospedale di Emergency a Kabul, l’elemosina di sciiti iraniani ha costruito la più funzionale università dell’Afghanistan. Lì gli studi sono gratuiti per tutti i buoni musulmani, siano sciiti o sunniti. Almeno in teoria, perché professarsi sciiti come i donatori dà improvvisi vantaggi. Ad Haiti le Ong fanno da supplenza a un governo senza risorse. Secondo Nelta Volmar, sociologa, ciò ha portato al primo caso al mondo in cui la politica di sviluppo di un Paese viene decisa in tre Stati diversi: Usa, Gran Bretagna e Francia.
Ugo Trojano è stato funzionario Onu per decenni in Senegal, Mauritania, Mali, Palestina, poi da «sindaco» di Kossovopolje tra il ”99 e il 2000 si è trovato a gestire Ong che spingevano a favore degli albanesi e Ong che tifavano per i serbi. «Ho risolto convincendo destra e sinistra a rispettare la scelta multietnica della Risoluzione 1244: chi voleva fare una scuola per gli albanesi doveva farne un’altra per i serbi e viceversa».
Si corre sempre su un filo, tanto che persino un ministro come Bernard Kouchner, dalle credenziali umanitarie fenomenali, rischia di scivolare. Nel 2009 il fondatore di Médecins sans Frontières dichiarò che il governo di Parigi non era preoccupato dall’assenza di contatti ufficiali con Hamas, perché, disse, «ci sono tante Ong francesi che entrano a Gaza e portano informazioni». Ong o spie? Il ministro ritrattò, ma i semi del dubbio sulla natura e gli scopi dell’ «intervento umanitario» volarono copiosi.
Gino Strada rivendica con forza la distinzione tra l’agire neutrale e il pensare di parte. Il suo dirimpettaio a Kabul, Alberto Cairo della Croce Rossa internazionale, per carattere, convinzione e mandato «aziendale» si è sempre tenuto alla larga dalla politica. La sua Croce Rossa in Afghanistan fa molto di più di ciò che riesce a fare Emergency, ma in silenzio. sempre questo l’approccio migliore? Un paio di decenni fa, lo storico svizzero Jean Claude Favez provò che nel ”42 la Croce Rossa internazionale sapeva del genocidio degli ebrei e decise di tacere per restare imparziale tra le due parti in conflitto. Fu giusto?
«Discutiamo pure di parzialità, dialettica, neutralità, ma dal punto di vista dei diritti umani quel che conta sono i risultati» sostiene Giorgio Fiorentini, ordinario di economia delle imprese sociali alla Bocconi. « A Lashkar Gah ho curato un bimbo e un nonno arrivati in condizioni disperate – racconta il dottor Perkmann ”. Una volta ristabiliti prima di uscire il vecchio mi ha abbracciato. Dovevo chiedergli se era talebano?».
Andrea Nicastro