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 2010  aprile 14 Mercoledì calendario

L’AMERICA SALVA LE BANCHE E CI GUADAGNA

L’intervento governativo di salvataggio delle banche Usa sta dando risultati migliori del previsto e, soprattutto, costa molto meno di quanto preventivato. Cosa che, unita a un andamento delle entrate fiscali migliore del previsto e a una sensibile ripresa del Pil, spinge il Tesoro a far trapelare sul Washington Post un’indiscrezione abbastanza clamorosa, per i tempi grami in cui viviamo: il deficit federale 2010 potrebbe fermarsi a 1.300 miliardi di dollari. Vedi pagina 49
Ossia trecento meno del previsto, cento meno del saldo dello scorso anno.
Notizia-bomba che alimenta subito le polemiche: i siti della destra conservatrice e «anti-tasse» accusano il governo di trattare in modo spregiudicato previsioni e dati delicatissimi, di fare propaganda, mentre la sinistra radicale ne approfitta per criticare un governo che, mentre la disoccupazione rimane a livelli record, stringe i cordoni della borsa anziché soccorrere i diseredati. Perfino la Casa Bianca mette le mani avanti con l’Ufficio del bilancio che definisce «prematuro e irresponsabile» proiettare sull’intero anno i dati contabili positivi delle ultime settimane.
Ci sono, però, buoni motivi per ritenere che alla fine il miglioramento dei conti ipotizzato si materializzi e che, anzi, la riduzione del deficit possa risultare addirittura superiore ai trecento miliardi oggi ipotizzati. Gli analisti politici notano che i governi non sparano mai tutte le loro cartucce - le notizie positive - all’inizio dell’anno. Ciò dovrebbe essere tanto più vero in un 2010 che si chiuderà con le importantissime elezioni di «mid term» nelle quali i democratici rischiano di perdere la loro ampia maggioranza parlamentare. Negli Usa l’anno fiscale finisce il 30 settembre: i risultati di bilancio verranno, quindi, ufficializzati pochi giorni prima del voto del due novembre. quanto mai probabile che le vere buone notizie vengano tenute da parte per quel momento, mentre sarebbe un disastro per Obama se le ipotesi di miglioramento dei conti svanissero alla prova dei fatti.
La notizia del calo del deficit, se confermata, è assai positiva, ma nessuno potrà abbassare la guardia, visto che il debito pubblico americano nei prossimi anni continuerà comunque a crescere a ritmi sostenuti. Attenzione, insomma, a non creare un clima di cessato allarme come quello che emerge da alcune analisi troppo ottimistiche della ripresa in atto.
Molti - anche tra quelli che avevano già dato per morto il sistema americano - ora accreditano una ripresa a tutto vapore che parte proprio dalla locomotiva Usa. In realtà la positività dei numeri attuali (che è reale) è amplificata dal confronto con un primo trimestre 2009 disastroso. Il dato davvero incoraggiante non è quello del Pil ma il ritorno, a marzo, del segno «più» davanti al numero degli occupati, dopo oltre due anni di emorragia dei posti di lavoro. Con l’economia sempre frenata dalla crisi immobiliare e dall’elevato indebitamento delle famiglie, molti analisti ritengono che, dopo l’impennata della prima parte dell’anno, la crescita Usa oscillerà a lungo attorno al 2%.
C’è, però, anche un altro fattore che, se non dà una spinta straordinaria all’economia, certamente allontana il timore di una sua nuova caduta: l’efficacia dell’intervento pubblico a sostegno delle banche. Il costo del piano di salvataggio di Paulson (governo Bush) e del Tarp (i sostegni per il sistema finanziario varati da Obama appena insediato), nell’aprile 2009 veniva stimato dall’ufficio di bilancio del Congresso in 356 miliardi di dollari. Ora, invece, risanamento delle banche, ripulitura dei titoli «tossici» in portafoglio e ripresa della Borsa potrebbero ridurre il conto del Tarp ad «appena» 89 miliardi. Lo fa sapere lo stesso Tesoro, sia pure in modo anonimo. Certo, non è il conto complessivo: c’è sempre la Fed che ha immesso oltre mille miliardi di dollari di liquidità nel sistema, mentre il disastro di Fannie Mae e Freddie Mac (le società semipubbliche che rifinanziavano i mutui) costerà ai contribuenti 370 miliardi di dollari in dieci anni.
Per la prima volta, però, Obama sembra poter dimostrare, conti alla mano, che aiutare le banche ha evitato disastri, non è costato troppo e non ha comportato nazionalizzazioni. Quando dette 45 miliardi a Citigroup molti dissero che si gettavano soldi nella fornace di una banca ormai fallita. Oggi Citi è tornato a produrre profitti e il Tesoro si prepara a cedere la sua quota azionaria realizzando addirittura un profitto (otto miliardi). E anche Aig, che ha costi di salvataggio ancora elevatissimi anche se in progressiva riduzione, potrebbe tornare tutta sul mercato.
Massimo Gaggi