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 2010  aprile 13 Martedì calendario

LA MIA STORIA CON FELLINI SUL SET DI CASANOVA

Quando Federico Fellini le mise gli occhi addosso, Germaine Greer era già un’icona del femminismo sufficientemente emancipata da non scandalizzarsi per la fede all’anulare del maturo corteggiatore. Può darsi che in quell’estate romana del 1975 lui non fosse particolarmente impressionato dal messaggio rivoluzionario dell’Eunuco Femmina, il saggio che l’aveva resa celebre in mezzo mondo, certo restò rapito dal suo abitino leggero senza reggiseno. «Ero tutta sudata, mentre parlavo con la troupe Fellini mi guardava dondolando la testa e socchiudendo gli occhi come se mi stesse studiando» rivela al Guardian la scrittrice australiana, allora trentaseienne. La direttrice del cast di Casanova Paola Roli l’aveva invitata a Cinecittà per un provino e lei, totalmente disinteressata alla carriera cinematografica ma pazza di Amarcord e della Dolce Vita, non se lo fece ripetere. La parte della gigantessa, il personaggio per cui era stata convocata e che sarebbe invece toccato a Sandy Allen, non fu neppure preso in considerazione ma il giorno successivo il maestro parcheggiava la grande Mercedes blu di fronte al suo miniappartamento a Cortona.
«Parlammo tutto il pomeriggio del film e io, chissà perché, mi sentivo lusingata nonostante Federico continuasse a fissarmi come se non mi ascoltasse affatto» racconta la Greer. L’epilogo era chiaro sin da quando l’illustre visitatore aveva dato appuntamento all’autista per il mattino seguente: «Era scontato che avrebbe diviso il letto con me ma fu sorpreso di scoprire che dormivo con le finestre aperte. Indossò il pigiama di seta marrone con le rifiniture color crema che si era portato nella valigetta e piegò per bene i vestiti». Una scena d’idillio domestico quasi pre-femminista con lei che si offre di mettersi ai fornelli e lui «ancor più difficile della media degli uomini italiani» che preferisce cucinarsi un risotto «da insaporire con una sola foglia di basilico». Peccato che ogni due ore Fellini facesse uno squillo alla moglie Giuletta Masina, pazientemente in attesa del consorte nella casa di via Margutta.
La Greer, che all’alba della settantunesima primavera continua a definirsi «un’anarchica», ricorda la notte con tenerezza. Compreso quando, a lampada a olio spenta, un pipistrello s’intrufolò nella stanza: «Federico era terrorizzato, da bambino s’era ritrovato un pipistrello tra i capelli. Cominciò a ansimare, gli misi due dita sui polsi e si calmò. Poi ridemmo a pensare cosa avrei detto ai giornali l’indomani se l’avesse ucciso lì». Indimenticabile l’arrivederci: «Andando via disse che mi avrebbe fatto mettere la luce così ogni volta che l’avessi accesa avrei pensato a lui. Mandò gli elettricisti con un generatore».
La liason non durò molto. «Non ero sempre a disposizione» continua la scrittrice. Ma nei pochi incontri che seguirono Fellini fece in tempo a mostrarle spezzoni del Casanova, la sceneggiatura e gli schizzi di ogni scena: «Parlava solo di work in progress, quando un film era finito non lo interessava più». Forse si comportò allo stesso modo con le numerose relazioni amorose, ad eccezione di quella vitale con la moglie. Ma è un peccato veniale che la femminista Greer gli perdona volentieri: «Gli atleti sessuali si trovano dovunque, Fellini era un genio dalle molte facce del genere che non conto d’incontrare più». Che sia cronaca o letteratura, scritto da lei fa storia.