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 2010  aprile 13 Martedì calendario

FOGLIO ARTICOLI - BALDUCCI: IO ALMENO HO LA COSCIENZA A POSTO

Due mesi fa un nome si conquistava le prime pagine dei giornali: l’ingegner Angelo Balducci, presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, Gentiluomo di Sua Santità, descritto come «il vice» di Guido Bertolaso nel settore dei Grandi Appalti (ma poi si capì che le cose erano un tantino più complicate), un potente, fu arrestato su mandato della magistratura di Firenze. E per Balducci fu una vertiginosa caduta: intercettazioni sui giornali, circostanziate accuse di corruzione, palate di fango per lui e per tutta la sua famiglia, pure storie di omosessualità e di prostituzione maschile. Accadeva due mesi fa. Da allora, Balducci è sempre in un carcere della Repubblica e un deputato del Pd, Andrea Lulli, toscanaccio di Prato, ieri l’ha incrociato mentre faceva una visita al carcere della sua città. Come l’ha trovato, onorevole? «Un uomo provato. La prima impressione che ho avuto, nel vedermi di fronte il famoso Balducci, è stata una gran pena sotto il punto di vista umano».
Angelo Balducci vive nel carcere di Prato da circa un mese. Con due detenuti comuni divide una cella di tredici metri quadrati, dove a malapena ci si gira tra letti e tavolino. Ieri, quando Lulli è passato davanti alla sua porta, il detenuto era in jeans e maglione. Pantofole ai piedi, sfogliava carte. «Che le devo dire, onorevole? Ovviamente è dura», gli ha sorriso, rompendo il ghiaccio. Ovviamente.
Balducci è un uomo provato da questi sessanta giorni di detenzione. Parla a voce bassa, gli occhi mai dritti verso l’interlocutore. Un po’ si lamenta. «Dopo il primo momento, che è stato durissimo, sono stati i giorni di Pasqua quelli peggiori. Ero ancora qui... E senza la famiglia... Sa, è dura sul serio». Ma subito dopo ci tiene a precisare che in carcere con lui sono tutti molto corretti. «Mi trattano bene». Lulli lo ha incoraggiato: «Stia su. Fuori di qui non si sono dimenticati di lei». E Balducci ha annuito vigorosamente.
La sua situazione giudiziaria è pesante. Il governo lo ha prontamente sostituito nel ruolo di «soggetto attuatore» per gli appalti collegati all’anniversario del 150° dell’Unità d’Italia. Nel frattempo lo hanno scaricato in tanti: Berlusconi ha cercato di mollarlo a Prodi e viceversa; nel frattempo Bertolaso sembra esserne uscito e a casa Balducci hanno storto il naso. Il figlio l’ha attaccato in un’intervista: «Mio padre in carcere e lui va dal Papa. Ma è sempre indagato, o no?». In questi casi, però, i detenuti non possono parlare dei loro processi. Ci si deve tenere sulle generali. Balducci è stato ligio alle regole, che ha imparato a sue spese. «Sono fiducioso che si chiarirà tutto... Tutto». E nel parlare, a questo punto, ha marcato le parole. «Per quanto mi ri-guar-da». Come a dire: io ho la coscienza a posto, gli altri chissà.
Anche nella cella del carcere di Prato Balducci continua a studiare affannosamente le carte del suo processo. Forse con meno foga delle prime settimane, quando - raccontano - non alzava quasi lo sguardo dalle montagne di documenti che aveva con sé. Sia l’ingegnere che i suoi avvocati speravano di vincere qualche ricorso. I suoi difensori, Franco Coppi e Roberto Borgogno, pensavano di fargli avere quantomeno i domiciliari. Ma sia a Firenze che a Perugia sono state docce fredde. E ora, come spiega Borgogno, «non ci attendiamo più nulla. Le decisioni della magistratura ci hanno meravigliato: davvero non vediamo come potrebbe ancora reiterare un reato, oppure nascondere le prove, o peggio fuggire... Ma tant’è. Ci siamo rassegnati, e lo abbiamo chiarito anche a Balducci, che c’è soltanto da aspettare la scadenza naturale dei termini per la custodia cautelare».
Gli avvocati sanno infatti che sarebbe inutile, a questo punto, ricorrere in Cassazione: ormai si fa prima ad aspettare il 9 maggio quando scadranno i tre mesi di detenzione preventiva. «Ma io - ha detto in chiusura l’ingegnere all’onorevole che passava di lì - conto i giorni, sa».
Questa la vita quotidiana nel carcere di Prato di un ex potente della Seconda Repubblica. «Non un carcere sovraffollato come certi altri - dice Lulli - ma neanche poco. Ci sono 650 detenuti a fronte di una capienza di circa 500 posti. E soprattutto manca il personale: duecento agenti su trecentodieci previsti in organico, solo quattro gli educatori, turni massacranti. Fanno quel che possono, ma i numeri sono questi».