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 2010  aprile 12 Lunedì calendario

LE DONNE DEL SUDAN AL VOTO

Sudan le prime libere elezioni dal 1986 sono appena cominciate ma c’è già chi ha perso. Sono i milioni di donne sudanesi che da ieri per tre giorni voteranno e che entreranno in massa in Parlamento, saranno 112 sui 450 deputati grazie ad una legge elettorale che garantisce loro il 25% dei seggi, ma difficilmente riusciranno a fare qualcosa per cambiare la propria condizione. In Sudan dal 1983 vige la Sharia, il diritto coranico cui devono conformarsi tutti i comportamenti sociali e gli aspetti della vita pubblica. E le donne sono in ultima fila.
La denuncia arriva da Balghis Badri, attivista fervente, iscritta all’Umma party, il partito dell’ex premier destituito Sadeq Al Mahdi, ma soprattutto figlia del fondatore dell’Ahfad University, il college universitario per sole donne di Khartoum, dove 6500 ragazze studiano per provare a riscattarsi e a trovare un proprio ruolo nella società. Il nonno di Balghis Badri, addirittura, nel 1907 è stato il pioniere dell’educazione femminile nel paese, il primo a dire che anche le donne dovevano studiare. E a metterlo in pratica. Insomma, una famiglia che ha i diritti delle donne scritti nel Dna e che ha i titoli per parlare.
«La mia faccia oggi è quella della depressione – dice senza mezze misure Balghis Badri – anche dopo le elezioni continueremo a vedere al potere sempre le stesse facce. E nulla sarà fatto per i diritti delle donne. Le candidate al parlamento dei partiti dell’opposizione, nelle settimane scorse, si sono messe insieme per stilare un’agenda delle cose da fare. A cominciare dalla riforma del diritto di famiglia, con le donne che non possono sposarsi senza il consenso del tutore maschio, e dal divorzio, che i maschi ottengono automaticamente mentre le donne devono passare per un tribunale. E poi c’è la questione della custodia, che dopo una certa età passa automaticamente al marito. Per finire con l’età di matrimonio, fissata a 10 anni se il padre ritiene che la figlia sia matura. Tutte queste riforme non si faranno, perché il boicottaggio delle opposizioni porterà in Parlamento praticamente solo deputate del partito di maggioranza, che hanno combattuto contro la riforma del diritto di famiglia».
A pochi giorni dal voto infatti i principali partiti dell’opposizione hanno deciso di boicottare le elezioni, perché sarebbero state troppe le violazioni da parte del partito al potere, e soprattutto per non dare al Presidente Bashir, salito al potere nel 1989 con un golpe militare, la legittimità di un’elezione popolare riconosciuta universalmente.
«Non sono felice di queste elezioni – prosegue Balghis Badri – perché alle donne non verrà assicurato neanche il diritto all’educazione, e ce n’è bisogno perché solo il 25% riesce a studiare, e perché non ci saranno investimenti nella salute, che è un bisogno primario: le statistiche dicono che 1 donna su 100 muore per complicazioni legate al parto. Un dato inaccettabile. Ma con il boicottaggio ci aspettiamo di avere solo pochissime deputate dell’opposizione e non potranno fare altro che parlare dei problemi, non riusciranno a risolverli».
Anche Asha El Karib, direttrice della Ong sudanese Sord si lamenta: «Le donne sono confinate in una loro lista a parte, si vota su una scheda gli uomini e su un’altra per le donne: in futuro nulla cambierà, ci terremo questa forma estrema d Islam importato dall’estero grazie a Bashir, che ha già vinto, perché per lui è una questione di vita o di morte. E poi alla comunità internazionale, che vuole il referendum che l’anno prossimo porterà alla indipendenza del Sud e che ha scelto di stare dalla parte del governo e non del popolo sudanese».
Ma c’è anche chi vede il bicchiere mezzo pieno, come Ahmed Gamal El Din, che era direttore di una importante Ong sudanese chiusa dal governo per repressione all’indomani del mandato di arresto del tribunale dell’Aja per crimini di guerra in Darfur. «Qualche cambiamento c’è già stato e queste elezioni ne sono il frutto – ammette Ahmed - il fatto che si voti è comunque un successo, la situazione è migliore che nei primi anni ”90, quando la Sharia era durissima, e questo perché l’opposizione e la società civile possono dire la propria e hanno fatto pressioni. Qualcosa si muove, anche se lentamente. E poi la colpa della nostra situazione non è solo di Bashir ma più in generale delle èlites sudanesi. Adesso Bashir vincerà, e i due principali partiti dell’opposizione boicottano il voto con molte ragioni, ma la nostra lotta potrà proseguire».
Nonostante le tante critiche da parte dell’opposizione interna, da ieri nel più grande paese africano 16 milioni di persone votano in oltre 10 mila seggi, per 14 mila candidati di 73 partiti. Eleggeranno il nuovo Presidente della Repubblica e il Parlamento nazionale, ma anche le amministrazioni locali. Queste elezioni in Sudan sono monitorate al più alto livello dalla comunità internazionale, con 800 osservatori che vengono dell’Unione Europea, dal Carter Institute, dall’Unione africana e da molte altre istituzioni.