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 2010  aprile 13 Martedì calendario

«RICORSO ALL’ALTA CORTE TEDESCA APPENA BERLINO AIUTERA’ ATENE»

L’uomo che potrebbe fare fallire il piano di salvataggio della Grecia è professore emerito di Economia all’Università di Tubinga. Si chiama Joachim Starbatty e, in un famoso caso del 1997, ricorse alla Corte Costituzionale tedesca per fermare l’euro, assieme a tre altri accademici, Wilhelm Hankel, Wilhelm Nölling e Karl Albrecht Schachtschneider. Non perché fosse contro la moneta unica ma perché riteneva che, realizzata tra economie ineguali, non potesse stare in piedi. Non ebbe successo. Ora, davanti alla crisi greca, ritiene che la realtà lo abbia vendicato. E in questa intervista - molto rappresentativa dell’opinione maggioritaria in Germania - annuncia che la «Banda dei Quattro» ricorrerà di nuovo alla Corte di Karlsruhe non appena Berlino accetterà di erogare un prestito ad Atene.
Ha già deciso di ricorrere di nuovo all’Alta Corte?
«Sì. Se sarà dato un sussidio alla Grecia, il Trattato di Maastricht sarà stato violato. Stabilisce che un Paese membro dell’Unione monetaria non possa essere salvato: è la clausola del No Bailout che fu fondamentale per far sì che la costituzione tedesca accettasse la valuta unica. Se ora questa clausola fosse violata - come lo sarebbe nel caso di un aiuto, dal momento che il finanziamento ad Atene avverrebbe a tassi inferiori a quelli di mercato - si tratterà di qualcosa di non in linea con la Legge fondamentale della Germania. Inoltre si aprirebbe il rischio di dovere fare lo stesso con altri Paesi in difficoltà». E’ preoccupato? «Lo sono, perché la Grecia non è un caso unico. L’Unione monetaria è stata creata tra Paesi molto diversi. Ci si è basati sull’illusione che lo sviluppo sarebbe stato nella stessa direzione per tutti, con la stessa produttività. In realtà, la Germania ha aumentato la sua capacità di competere sui mercati, mentre le economie di altri Paesi l’hanno diminuita, Italia compresa. Alla base ci sono problemi strutturali delle diverse economie e questo, all’interno di una moneta unica, è dinamite».
Ma aiutare la Grecia è un rischio così grande?
«Dandole un sussidio si crea una rottura tra la decisione, che rimane ad Atene, e la responsabilità, che a quel punto diventa un onere per i Paesi europei. E questo è contrario alla clausola del No Bailout che sta alla base del Trattato di Maastricht. Atene decide e l’Unione europea paga. Potremmo essere di fronte a un pozzo senza fondo. Senza contare che il rischio non riguarda solo la Grecia». Che altri Paesi a rischio vede? «Gli inglesi hanno coniato l’acronimo Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna o Piigs se si aggiunge anche l’Italia, ndr)». Con una I o con due? «Parlando con un italiano tendo a dire con una I sola».
Cosa dovrebbe succedere, a suo parere, per rimettere in piedi la situazione dell’euro su gambe solide?
«La Grecia dovrebbe uscire dall’Unione perché non è più competitiva. Potrebbe così svalutare la sua moneta e tornare a essere attraente per i turisti e in condizione di esportare di nuovo. Dovrebbe poi varare una seria politica deflazionista per aumentare la competitività della propria economia: aumentare le tasse, diminuire gli stipendi, affrontare insomma una recessione. Una volta ritrovata la competitività e stabilizzata a un giusto livello la valuta, potrebbe tornare nell’ euro». Una ricetta solo per Atene? «No no. Per tutte quelle economie che non sono in grado di convergere: uscire dall’euro, risanare, rientrare».
Danilo Taino