Micaela Cappellini, Il Sole-24 Ore 13/4/2010;, 13 aprile 2010
CAPITALI ISLAMICI ALLA CONQUISTA DI NUOVI MERCATI
La scorsa settimana in BosniaErzegovina si è svolto il "Sarajevo Business Forum". Un appuntamento d’affari come gli altri, se non fosse che gli ospiti d’onore erano due insigni membri della finanza islamica mondiale: Ekmeleddin Ihsanoglu, il segretario generale dell’Organisation of the Islamic Conference, e Ahmed Mohamed Ali, presidente dell’Islamic development bank. Pochi giorni prima, a qualche centinaio di chilometri di distanza, il ministro delle Finanze della Giordania, Mohammad Abu Hammour, annunciava pubblicamenteche si sarebbe impegnato a semplificare le regole per aprire ulteriormente il sistema finanziario del paese agli istituti che operano secondo i dettami della Sharia.
Un rigurgito integralista? Non esattamente. puro calcolo di business. I capitali islamici hanno retto la crisi meglio di qualsiasi altro e dispongono di asset che Moody’s stima intorno ai 950 miliardi di dollari. Per questo i paesi emergenti stanno facendo la fila per attingere alle loro borse, in tempi in cui i cordoni di quelle più tradizionali continuano a rimanere serrati.
Nella lista di chi guarda alla finanza islamica come a una rinnovata fonte di finanziamento non ci sono solo paesi musulmani: «Confermano il loro interesse realtà come la Malaysia, il Kazakhstan, l’Egitto,la Turchia,il Libano e la Siria – spiega Darshan Bijur, direttore Islamic finance and investments di Kpmg – ma stanno emergendo interessi nuovi. Quello della Cina e di Hong Kong, innanzi tutto. Non perché abbiano una popolazione musulmana, se non una sparuta minoranza, ma perché il governo di Pechino ha bisogno di far arrivare quanti più capitali possibili per il proprio sviluppo, finanza islamica compresa».
Ma anche l’India, sostiene Bijur, sta manifestando un certo interesse, che si concretizza in un numero crescente di conferenze e business forum dedicati ai capitali Shariacompatibili. C’è Singapore, e poi, a sorpresa, la Francia. Che sembra voler sfidare sul terreno europeo un primato, quello di centro di riferimento per la finanza islamica, saldamente in mano alla Gran Bretagna. «La Francia ”spiega Bijur – ha una storia importante di immigrazione proveniente da paesi musulmani, ma finora la regolamentazione finanziaria nazionale si mantiene fra le più stringenti in materia di novità dall’esterno. Ciò nonostante, un paio di grandi banche islamiche proprio in questi mesi stanno studiando l’ingresso».
Quello delle regole è il maggior problema. Non a caso la Malaysia ha avuto successo nell’accreditarsi come hub internazionale della finanza islamica proprio grazie a provvedimenti legislativi in grado da un lato di aprire alle banche della Sharia,e al tempo di garantire loro quell’assetto normativo richiesto dai dettami di Maometto, che non prevede il pagamento di interessi né l’investimento in settori legati ad esempio all’alcol o alla pornografia. La stessa Giordania, che vuole aumentare significativamente la presenza di banche islamiche nel paese, è proprio nel senso dell’apertura normativa che si sta muovendo.
Vietato però essere troppo entusiasti sui capitali di Maometto: « vero – sostiene Bijar – che hanno retto di fronte alla crisi meglio di qualsiasi altra banca commerciale o d’investimento,è vero anche che non hanno perso capitale, ma hanno comunque stretto i cordoni delle borse. Le banche islamiche negli ultimi due anni si sono concentrate più sul rifinanziamento e le ristrutturazioni che non sui business ex novo ». Anche i capitali islamici si sono fatti selettivi, non bisogna dimenticarlo. E se nel complesso hanno registrato una crescita degli asset, nello specifico hanno visto diminuire le quote sia sul fronte del private equity che dei sukuk, i cosiddetti bond islamici. Questi ultimi, però, secondo Kpmg sarebbero già in ripresa, come dimostrerebbero i mille miliardi di dollari di infrastrutture in costruzione nei prossimi dieci anni nei paesi del Golfo, una parte dei quali saranno finanziati appunto dai sukuk. In crescita, inoltre, ci sarebbe un settore oggi minoritario della finanza islamica, quello delle assicurazioni sanitarie.
E i nuovi attori bancari, chi sono? Secondo Bijar, il panorama non è destinato a cambiare radicalmente, e giganti come la saudita Al Rajhi Bank o la Kuwait Finance House rimarranno tali anche nei prossimi anni. «Oggi sono due le banche – aggiunge – che mostrano un livello sempre maggiore di internazionalità, la Al Baraka Bank del Bahrein e la Cimb della Malaysia. Mentre meritano di essere tenute d’occhio la Al Hilal Bank di Abu Dhabi e la Qatar islamic bank. Potrebbero presto rivelarsi interessanti».