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 2010  aprile 13 Martedì calendario

D & G, STRATEGIA FASHION: SIAMO ARTISTI, NON CONTABILI - Cercasi capro espiatorio. Disperatamente

D & G, STRATEGIA FASHION: SIAMO ARTISTI, NON CONTABILI - Cercasi capro espiatorio. Disperatamente. La strategia difensiva di Dolce e Gabbana si sta profilando: loro sono artisti, che ne sanno di numeri? Il tempo stringe. E’ prossima infatti la conclusione dell’indagine preliminare che la Procura di Milano sta conducendo sugli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, con due ipotesi di reato: evasione fiscale e truffa allo Stato. Due accuse, che si accompagnano ad un’altra inchiesta, fiscale, parallela a quella penale: emersa quando la Guardia di Finanza di Milano ha contestato ai due designer ”distratti” sui conti, di aver ceduto nel 2004 la proprietà del loro marchio ”D&G” dall’Italia a una società del Lussemburgo. Dalla ”D&G srl” di Milano, cioè, alla ”Gado sarl” (acronimo di Gabbana e Dolce) del Gran Ducato, a sua volta controllata da una holding sempre lussemburghese, la ”Dolce & Gabbana Luxembourg sarl”. Ora chi sta in Lussemburgo a curare gli affari del duo? Il fratello di Domenico, Alfonso: sarà lui ad addossarsi la responsabilità della ”estero vestizione” del marchio ”D&G”, con le sue ricche royalties riscosse dalla vendita di prodotti in licenza, dagli occhiali agli orologi, dai profumi ai cosmetici, dalle mutande alle cravatte? Si vedrà. Sta di fatto che a insospettire le Fiamme Gialle è stato il prezzo di quella cessione, 360 milioni di euro. Un prezzo troppo basso, basato su una valutazione ”casalinga”. E’ stato corretto, al momento della cessione del brand ”D&G”, misurare la redditività futura del marchio attraverso le royalties moltiplicate per la vita utile del marchio stesso, in genere 15 anni. Ma per un altro importante aspetto i consulenti finanziari di D&G avrebbero fatto un’operazione di cosmesi, come se l’acquirente avesse dovuto essere una società italiana, e non invece, com’è poi avvenuto, una società lussemburghese: quindi con una tassazione di royalties più elevate, in percentuale, rispetto a quelle, infinitamente più smilze, in vigore nel Gran Ducato. In pratica il ”carico” fiscale era spropositato. Con una conseguenza: se uno versa troppe imposte su royalties fintamente ”italiane”, anziché lussemburghesi, il valore dei marchi venduti sarà ”piccino”, ovvero i famosi 360 milioni. Secondo questa proiezione ”ca - salinga”, è come se D&G avessero dovuto spuntare ”appena” il 60 per cento di profitti per le loro royalties (appesantite, appunto, nel 2004, da tasse ”italiane” del 37,5 per cento, tra Ires e Irap), invece del ricco 97-98% in Lussemburgo, dove invece le tasse viaggiano su soglie modestissime, tra 2 e 3%. C’è una bella differenza tra moltiplicare 60x15 (i cosiddetti anni di vita utile del marchio) o 98x15. Morale: se si guadagna di meno da un marchio, anche questo, sul mercato, ne risentirà. Il fatto è che simili considerazioni, valide in quegli anni, oggi sono superate. Interbrand, una multinazionale specializzata in valutazione dei brand, opera con altri criteri, non più in virtù degli anni di ”vita utile del marchio”, ma su dati che comprendono quanto reddito, attuale o futuro, si può attribuire ai prodotti, sui costi operativi, e su altri oneri. E’ vero che D&G hanno posto fine alla ”este - ro vestizione” del proprio tesoro, facendo rientrare in Italia nel 2007, il marchio e cercando, quindi, di chiudere con il passato. Ma il passato, per fisco e Procura, non passa. Quanto al primo, la palla, è ora nelle mani dell’Agenzia per le entrate, subentrata, per l’accer tamento della cifra da attribuire al valore del marchio, alla Guardia di Finanza: secondo i suoi parametri, circa 700 milioni di euro, invece dei famosi 360. Però, senza un negoziato con l’A ge n z i a , per effetto del gioco delle penalità, tra sanzioni e interessi scattati nel corso degli anni, D&G corrono il rischio di dover sborsare ben 370 milioni di euro. Ricorreranno alle commissioni tributarie per ottenere la sospensione del pagamento, che potrebbe non essere concessa. Se il pm Laura Pedio, titolare del dossier, dovesse chiedere, e ottenere, via libera per il processo, e se i difensori di D&G volessero puntare sul patteggiamento, non rimarrebbe ai due ”arrogantelli” (definizione di Valentino) che saldare. Condizione del patteggiamento è il risarcimento del danno.