Sergio Rizzo, CorrierEconomia 12/04/2010, 12 aprile 2010
NON RISPETTATE I TEMPI? SCATTI LA MULTA
Impossibile dire con precisione quanti soldi gli evasori fiscali sottraggano all’erario ogni anno. Una stima di «Krls network of business ethics», pubblicata un anno e mezzo fa, parla di 300 miliardi di euro, una quarantina dei quali da parte della sola criminalità organizzata. Numeri compatibili con le gigantesche proporzioni dell’economia sommersa del nostro Paese, indicate in sedi internazionali nella misura di circa il 30% del Prodotto interno lordo: un valore che colloca l’Italia nella deprecabile posizione di Paese leader, nel mondo occidentale, della classifica dell’infedeltà fiscale. Da decenni ci si interroga sulle cause. Con punti di vista opposti fra gli schieramenti politici. Da destra si sostiene che è colpa delle imposte troppo alte volute negli anni dalla sinistra: nel 2004 il premier Silvio Berlusconi è arrivato ad affermare che evadere tasse troppo alte rientrerebbe «nel diritto naturale». Ma poi la pressione fiscale, quando la destra ha governato, non è mai scesa davvero. Da sinistra si punta invece il dito verso la compiacenza della parte opposta nei confronti degli evasori, gratificati da raffiche di condoni, e la carenza dei controlli. Ma l’evasione, anche quando la sinistra ha governato, è rimasta pur sempre elevatissima. Non mancano poi le chiavi di lettura sociologiche le quali prendono di mira l’indole stessa della popolazione italiana. Qualunque sia la motivazione, una sola cosa è certa. In Italia si è progressivamente sfarinato il collante che nei Paesi sviluppati regola i rapporti economici all’interno della società: la lealtà. I cittadini evadono le tasse perché sono troppo alte e le tasse sono troppo alte perché i cittadini li evadono. Al tempo stesso, chi dovrebbe costringere i furbi a onorare i propri impegni con la comunità, vale a dire lo Stato, non ha la credibilità necessaria, visto che è il primo a non onorarli. Secondo la Confindustria la pubblica amministrazione deve alle imprese arretrati per 60-70 miliardi di euro (quattro punti di Pil) e paga con ritardi scandalosi. Senza nemmeno essere disposta a subirne le conseguenze, se è vero che lo Stato italiano si oppone alla sanzione del 5% del valore della fornitura proposta dall’Europa a carico delle amministrazioni che pagano oltre i 30 giorni (la direttiva, secondo le ultime voci, potrebbe essere varata entro l’estate). E in questa logica dei ritardi ecco che pure le grandi imprese private usano la stessa arma nei confronti dei piccoli imprenditori, pagandoli a loro volta con estrema lentezza. Senza che le vittime del sopruso nemmeno possano contare sulla certezza del diritto. Perché qui rivolgersi al giudice civile è semplicemente inutile, per non dire controproducente: le cause in Italia durano decenni e una piccola impresa che cita in giudizio una grande impresa difficilmente avrà altre commesse. Questa è la giungla italiana, dove la regola della lealtà ha lasciato il posto alla legge del più forte. Ma per quanto si può ancora andare avanti prima che il sistema collassi?
Sergio Rizzo