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 2010  aprile 12 Lunedì calendario

2 articoli – QUELLE FRASI CHE HANNO ROTTO UNA FRAGILE TREGUA – Il Quirinale descritto come un luogo dove si spacca il capello in quattro, quando c’è esaminare una norma del governo

2 articoli – QUELLE FRASI CHE HANNO ROTTO UNA FRAGILE TREGUA – Il Quirinale descritto come un luogo dove si spacca il capello in quattro, quando c’è esaminare una norma del governo. Un covo di azzeccagarbugli che s’impuntano in un arcigno sindacato preventivo sulle leggi, «controllando addirittura gli aggettivi». Ecco che cosa ha suggerito l’altro ieri Berlusconi all’assemblea di Confindustria, a Parma. Appena ha letto i resoconti d’agenzia che inserivano il Colle in un elenco di poteri impegnati a «frenare» il lavoro dell’esecutivo, il presidente della Repubblica ha chiamato Gianni Letta, l’uomo attraverso il quale comunica con Palazzo Chigi anche nei momenti più difficili. Ha sfogato tutta la sua irritazione e il suo sconcerto, dato che proprio sul tema delle prerogative assegnategli dalla Carta ha messo più volte nell’angolo il premier. «Inutilmente», si è lamentato Giorgio Napolitano con il suo interlocutore, in un colloquio asciutto e teso, al termine del quale non risultano scuse di Letta. Soltanto una imbarazzata presa d’atto.  una nuova scossa nella coabitazione, da sempre faticosa, tra i due ai vertici dello Stato. Un’ennesima prova di forza di fronte alla quale il presidente ha deciso di non reagire, almeno per il momento. Per non farsi trascinare in uno stucchevole botta e risposta, evitando così che il battibecco infinito della politica coinvolga ancora il Quirinale. Una replica – a modo suo – se la concederà forse in uno dei prossimi appuntamenti in cui sarà impegnato. E il più adatto cade il 24 aprile a Milano, dove aprirà alla Scala il sessantacinquesimo anniversario della Liberazione. La scelta di Napolitano è per certi versi obbligata. Il suo ragionamento, a freddo, è stato più omeno di questo tenore. Cose del genere il premier le ha dette in tante circostanze, e io le ho già commentate. Perciò, davanti a una pura ripetizione, è difficile aggiungere altro. Per giunta quelle critiche non riguardano soltanto la presidenza della Repubblica, ma anche la Corte costituzionale, i suoi membri e i capi dello Stato che li hanno nominati, e altri poteri e organi di garanzia, con giudizi declinati sempre alla stessa maniera, dunque... Dunque meglio lasciar perdere, per ora, ha pensato il capo dello Stato. Meglio far decantare le polemiche e far parlare gli archivi (e quelli del Quirinale sono consultabili da tutti, anche on-line: www.quirinale.it). Due sono in particolare i discorsi critici che si ricordano. Il 10 dicembre 2009, al congresso del Ppe convocato a Bonn, Silvio Berlusconi attaccò prima il «partito dei giudici», poi la Consulta che per lui «si è trasformata da organo di garanzia in organo politico» in quanto aveva bocciato il lodo Alfano, infine il Colle perché «abbiamo avuto purtroppo tre presidenti della Repubblica consecutivi tutti di sinistra». Schiaffi lanciati in un importante contesto internazionale, e quindi riverberati sui mass-media di mezzo mondo, ai quali Napolitano rispose subito con una nota, in cui rendeva pubblico il proprio «profondo rammarico e la preoccupazione» per attacchi così «violenti». Ma qualche mese prima era stato più esplicito e duro, il capo dello Stato. Alla «Biennale della democrazia» di Torino (22 aprile 2009), analizzando il tema della governabilità caro al premier (che recrimina di avere le «mani legate» e sbuffa sul Parlamento e altri organi dello Stato che gli fanno «perdere tempo»), aveva citato un durissimo verdetto di Norberto Bobbio: «La denuncia dell’ingovernabilità tende a suggerire soluzioni autoritarie». Un ammonimento, aveva puntualizzato, «che non si dovrebbe dimenticare mai e dal quale va ricavata l’esigenza di tenere ferma la validità e irrinunciabilità delle principali istituzioni del liberalismo, concepito in antitesi a ogni dispotismo». E quei «fondamentali» da non intaccare li indicò puntigliosamente, in una memorandum che fu considerato un altolà alle smanie di Berlusconi per allargare le proprie prerogative, oltre i dovuti controlli. «La garanzia dei diritti di libertà (di pensiero e di stampa), la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti, la tutela delle minoranze politiche, la rappresentatività del Parlamento, l’indipendenza della magistratura e il principio di legalità». Insomma: davanti a un premier che insiste a puntare l’indice su una Costituzione che non gli darebbe «alcun potere», Napolitano è sempre intervenuto a difesa delle istituzioni. Ottenendo in qualche caso una fragile tregua. Quella che si sarebbe rotta nei giorni scorsi, secondo un editoriale-fiume di Eugenio Scalfari su Repubblica di ieri. Una ricostruzione che, illustrando «l’ultima sfida del Cavaliere al Quirinale», presenta però alcune sfasature cronologiche. Infatti il burrascoso faccia a faccia tra presidente e premier non è avvenuto lo scorso 1° aprile, come sostenuto da Scalfari, (pertanto nell’immediata vigilia della decisione del Colle sui disegni di legge in materia di lavoro e di legittimo impedimento), ma una mese prima: la sera di giovedì 4 marzo, come riferì a suo tempo il Corriere. Fu un colloquio nel quale il Cavaliere tentò di imporre al capo dello Stato la riapertura dei termini per la presentazione delle liste elettorali (bocciate dai tribunali), perdendo il controllo fino a esprimersi con vera «brutalità». Presentandosi come «l’unica carica istituzionale eletta dal popolo», diceva che era potestà e responsabilità del governo approvare un decreto ad hoc e pretendeva che il presidente si limitasse a tenerne conto come un semplice certificatore. Un passacarte. Volarono parole grosse e Berlusconi, congedato gelidamente dal Quirinale, si scusò al telefono con il capo dello Stato dopo alcune ore. Tra alti e bassi, l’interruzione delle ostilità è durata fino a sabato. Cioè, coincidenza, ventiquattr’ore dopo che Giorgio Napolitano, da Verona, suggerisse con un forte appello di uscire «al più presto da anticipazioni e approssimazioni» sulle riforme che non si sa a quali concreti confronti possano condurre. Un appello – così fu interpretato da tutti’ a non inseguire le chimere del presidenzialismo (nelle sue diverse varianti), su cui il premier dopo le ultime elezioni preme ormai ogni giorno. Marzio Breda SECHI, D’AMBROSIO E MARRA. LE MENTI GIURIDICHE DEL COLLE’ Ma chi sono gli occhiuti componenti dello staff del Quirinale che per Berlusconi «controllano addirittura gli aggettivi» delle leggi votate dal governo? Sono due consiglieri del capo dello Stato, giuristi di grande competenza. Il più esposto è Salvatore Sechi, approdato al Colle fin dal 1985, durante la presidenza Cossiga, che dal ”92 dirige l’ufficio Affari giuridici e relazioni costituzionali del Palazzo dopo un cursus honorum nella burocrazia parlamentare. Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Sechi ha il compito di esaminare tutti gli atti amministrativi e normativi sottoposti alla firma di Napolitano, e si tratta di parecchie migliaia di documenti ogni anno. Lo affianca, nell’istruttoria degli atti che riguardano specificamente temi giudiziari, Loris D’Ambrosio. Un magistrato di Cassazione chiamato al Quirinale più di recente e al quale è stata affidata la delega di curare gli Affari dell’amministrazione della giustizia (cioè le relazioni con il Csm, di cui il capo dello Stato è presidente) e l’«ufficio grazie», creato solo pochi anni fa. Va comunque ricordato che l’esame dei punti critici o di dubbia costituzionalità di ogni legge viene coordinato passo passo dal segretario generale del Colle, Donato Marra, pure lui con una lunga esperienza nei ranghi della burocrazia parlamentare e «supervisore» dell’intera macchina della presidenza. M.Br.