Riccardo Chiaberge, Il Sole-24 Ore 11/4/2010;, 11 aprile 2010
CHI NON RADICA NON ROSICA!
Scordatevi la stagione dei «déracinés», delle anime vagabonde e senza radici.
Dimenticate gli apolidi alla Conrad, gli stranieri in patria come il Leopardi del natio borgo selvaggio, i nomadi stile Joyce, gli esuli alla Nabokov o Némirovsky.Roba d’altri tempi. Adesso è l’ora dei Gipo Farassino: il vecchio chansonnier torinese che venerdì sera ha espugnato il Carignano con la benedizione del neo-governatore Cota.
Ormai se non hai radici, anzi «radicamento nel territorio», non sei nessuno. Chi non radica, non rosica. In un paese che di radicato ha soprattutto vizi e pregiudizi, sbaragliati i radicali, è il momento dei radicati, degli apostoli del radicamento. Radicati comei vitigni, come l’insalata trevisana, o il cardo gobbo di Nizza Monferrato, o il caciocavallo podolico del Gargano.
La parola d’ordine è una sola:identità. Un concetto buono per tutti gli usi, a destra come a sinistra. Che nobilita qualsiasi cosa, dallo Slow Food ai Natali senza immigrati, dal lardo di Colonnata ai concorsi riservati agli insegnanti nativi della regione. Ma attenti, identità è «una parola avvelenata», avverte Francesco Remotti. Addirittura? Sì, spiega l’antropologo nel suo saggio L’ossessione identitaria (Laterza). Se una cultura «può essere paragonata a una mappa, o meglioa un insieme di mappe per orientarci nella complessità del mondo», per Remotti una cultura basata sull’identità è una cultura «impoverita», perché «riduce troppo drasticamente la complessità», «sostituisce alle relazioni, agli intrecci, alle sfumature, ai coinvolgimenti, alle reciproche implicazioni una logica fatta di mere divisioni, di separazioni, di opposizioni». Una logica schematica, che contrappone «noi» e «gli altri». Senza considerare che i «noi» dei quali ognuno può far parte sono infiniti e variabili: famiglia, villaggio, squadra di calcio, partito, chiesa,scuola, amicizie, mentre l’identità è una dimensione permanente e stabile... Un mito, insomma, del quale sarebbe più saggio fare a meno. Dice bene, il professor Remotti.
Ma se le mappe scarseggiano, se là fuori non c’è una narrazione unificante, se la sola spiaggia alternativa è quella dove I sogni
fanno rima , il paradiso virtuale di Maria De Filippi, come biasimare chi preferisce le identità golose o le canzoni di Farassino?