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 2010  aprile 11 Domenica calendario

LA GIOVINEZZA DELLE NAZIONI

Dicono che gli Stati-nazione sono vasi vuoti, illusioni che appartengono al passato. Sia come sia, il mondo di oggi è diviso in quasi 200 stati sovrani, molti di più che 150 anni fa.
Ciascuno di tali Stati, per quanto piccolo, mantiene tutto l’armamentario della sovranità che fu eretto nell’800 e ’900: passaporti, confini, eserciti, uniformi, polizia, valuta, inni nazionali, giornate nazionali, e banche centrali. Ci sono delle eccezioni e alcune sono importanti: un certo numero di Stati europei hanno in comune la loro moneta, sotto l’egida di una sola banca centrale e hanno abolito i controlli alle frontiere con l’accordo di Schengen. Tuttavia tutti gli Stati sovrani celebrano una "cultura nazionale", hanno canali televisivi nazionali, che danno priorità a notizie nazionali, e nelle loro scuole si insegna ai bambini a essere orgogliosi del proprio paese, anche se tutti sono d’accordo nel ritenere che non vi è merito personale nell’essere nati in un posto particolare.
Ai bambini e ai più grandi viene fornita una versione un po’ rosea della nascita e dello sviluppo della loro nazione. La litania è abbastanza simile, quasi un genere letterario di per sé, costantemente in bilico tra un senso di autocommiserazione lacrimosa e vittimistica e un resoconto vanaglorioso di gesta eroiche. «Noi», si dice, veniamo da lontano, da secoli, forse anche di più (dal 1066, notoriamente, per la Gran Bretagna, dal 966 in Polonia, da Romolo e Remo in Italia, dai tempi di Platone e Aristotele in Grecia, e fin dai tempi di Abramo in Israele). Abbiamo scritto pagine gloriose di storia e queste sarebbero state ancora più gloriose, se non ci fossero stati gli atti vili dei nostri oppressori. Alla fine abbiamo conquistato la nostra libertà, la nostra indipendenza, la nostra felicità, e noi, a differenza di tutti gli altri (perché noi siamo croati e non sloveni, italiani e non austriaci, francesi e non tedeschi, eccetera), possiamo finalmente essere come tutti gli altri: possessori di un paese, di una nazione, di una letteratura notevole, di una cultura importante, di una bella lingua e di un paesaggio unico. Eppure pochi degli Stati nazionali di oggi sono esistiti a lungo nei loro confini attuali. Territori vengono annessi a Stati per motivi che nulla hanno a che fare con i sentimenti nazionali. Il che non è difficile perché nella maggioranza dei casi i sentimenti nazionali sono stati inventati.
Il filosofo Emmanuele Kant, nato nel 1724 a Königsberg, pensava di essere tedesco (dopotutto Königsberg è stata in Prussia per secoli) ma se fosse nato nel 1946 sarebbe stato russo e cittadino della città di Kaliningrad. Schopenhauer, nato a Danzica nel 1788 scoprirebbe oggi che si tratta di una città polacca e cioè di Gdansk. Uno Stato italiano è esistito, in qualche forma, solo a partire dal 1861, ma anche questa è una convenzione. Venezia e il suo territorio entrarono a far parte dell’Italia solo nel 1866; Roma nel 1870; il Trentino nel 1919.
I confini della Gran Bretagna sono più vecchi di quelli dell’Italia, ma non di molto e certamente non dal 1066 come ai bambini veniva insegnato nelle scuole britanniche. La Gran Bretagna esiste solo dal 1707 con l’Atto d’Unione tra la Scozia e l’Inghilterra. I confini cambiarono di nuovo nel 1800, quando fu costituito il Regno Unito con l’annessione dell’Irlanda, e poi ancora nel 1922 quando la parte meridionale dell’Irlanda diventò uno Stato indipendente.
Gli abitanti della Corsica sono francesi, che a loro piaccia o no (e ad alcuni non piace), ma solo dal 1770, quando la Francia ne prese possesso. Prima era una repubblica indipendente che si era appena liberata dal "giogo" della Repubblica di Genova. Se questo non fosse accaduto, Napoleone (nato nel 1769) sarebbe stato poco più di un notabile locale, dato che è improbabile che la Corsica potesse condurre guerre e men che mai conquistare più di mezza Europa. I nizzardi sono ora francesi, ma solo da 150 anni. Se ciò non fosse accaduto, la Riviera italiana sarebbe molto più lunga. In ogni caso, i confini della Francia non sono mai stati molto stabili nel corso dei secoli. L’Alsazia, senza Strasburgo, fa parte della Francia solo dalla fine della guerra dei Trent’anni (1648). La Lorena entrò a far parte della Francia solo perché Luigi XV aveva sposato Maria Leszczyn´ska, figlia di Stanislao Leszczyn´ski allora Duca di Lorena (1766) e prima ancora re di Polonia. Eppure, per quasi tutti questi ultimi cent’anni ai bambini di Lorena (che, fino a poco tempo fa, parlavano vari dialetti tedeschi) si insegnava non solo che erano francesi, ma che, come tali, erano discendenti dei nos ancêtres les Gaulois (i nostri antenati, i Galli).
La convinzione che i Galli sono gli antenati dei francesi moderni è recente. Per tutto il medioevo francese non si parla della Gallia. E comunque non ci fu mai una sola nazione gallica. I Galli non hanno lasciato testi scritti e tutto ciò che sappiamo sul grande eroe "nazionale" Vercingetorige ci viene dai Romani, e cioè dai vincitori. Le vendite del fumetto Asterix dal 1959 hanno poi ulteriormente rafforzato la convinzione che gli antenati dei francesi siano appunto nos ancêtres les Gaulois.
I confini francesi, per instabili che fossero, sono solidi come la roccia in confronto a quelli della Polonia. Questo non sorprende, dato che la Polonia è al centro della pianura del Nord Europa, una superficie piatta con pochi limiti geografici naturali. Ciò che tuttavia potrebbe sorprendere (ma solo quelli che non conoscono la fervida fantasia dei nazionalisti), è che lo Stato polacco ha celebrato i suoi mille anni di storia nel 1966; "storia" che sarebbe iniziata con la cristianizzazione del paese e il battesimo del re Mieszko I (il capo della potente tribù Polanie, una delle tante). Nel 1966 l’idea del millennio aveva unito tutti, comunisti e patrioti, cattolici e agnostici. Eppure, i confini del paese del quale si celebrava la longevità venivano spesso cambiati a prescindere dagli abitanti e dalla lingua parlata. Nel 1634, quello che veniva chiamato "Polonia" era un vasto territorio che comprendeva la Lituania (un altro Stato con simili stravaganti pretese di longevità, in questo caso dal 1253) così come pezzi di Moldavia e di Prussia. Poi la Polonia rimpicciolì, poi si ingrandì, e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, slittò verso ovest, acquistando territorio tedesco e perdendone un po’ a est, a favore dell’Unione Sovietica.
Il nostro bravo mondo globalizzato è quindi anche un mondo di "noi e gli altri", di Stati grandi e piccoli (soprattutto piccoli) che manifestano la loro esistenza a volte difendendo, ipocritamente, la sacralità delle proprie frontiere contro rivendicazioni secessioniste di altre "nazioni" ancora più piccole di loro. Questa è stata la reazione, per esempio, della Georgia di fronte agli abitanti dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, che non ritengono di avere gli stessi antenati dei georgiani, antenati che, per alcuni, risalirebbero addirittura agli Ittiti nel XVIII secolo prima di Cristo o, per altri, al regno di Egrisi (VI-VII sec. d.C.). Così i nazionalisti georgiani, come altri nazionalisti, celebrano la storia, un po’ fantasiosa, di un antico popolo che, nonostante le minacce esterne e gli invasori, riuscì a conservare la propria identità, il proprio linguaggio e la propria cultura.
Ci sono più nazioni oggi che nel 1880, ma nel 1880 ce n’erano meno che nel 1800. In realtà le unità di governo che prevalevano prima del 1800 erano raramente comunità nazionali, vale a dire comunità abitate da persone auto-consapevoli di fare parte della stessa nazione. Si trattava per lo più di Stati tenuti insieme da un sovrano, o da una religione o dalla forza delle armi o da élite locali.
Vi è un flusso e riflusso nell’apparizione e nella scomparsa degli Stati, che suggerisce che è meglio evitare qualsiasi determinismo per quanto riguarda il loro futuro. Forse ce ne saranno di più. Forse ce ne saranno di meno. In ogni caso il significato di sovranità nazionale è alquanto mutato nel corso dei secoli, a tal punto che una definizione onnicomprensiva è una perdita di tempo.
Il mondo in cui viviamo oggi è in gran parte il risultato della enorme proliferazione degli Stati-nazione. I pochi Stati-nazione del XIX secolo sono oggi quasi 200. Certo, la comunicazione transnazionale si è enormemente moltiplicata e a una velocità sorprendente. Ma questo è un fattore che facilita la moltiplicazione delle identità, la conoscenza e l’uso del passato a fini politici. E così nuovi Stati si separano dai vecchi con l’idea che le cose possano migliorare; dopotutto l’idea del progresso porta alla lotta per il progresso. E il processo può continuare mentre anche la globalizzazione continua.
La forza dello Stato-nazione è in gran parte determinata dalla sua gioventù. Le nazioni sono arrivate tardi sulla scena internazionale, spesso come risultato di lotte di liberazione nazionale, o di una nuova coscienza democratica che ha permesso la trasformazione di sudditi in cittadini. Non si dovrebbero rimpiangere gli staterelli oligarchici del XVIII secolo, né gli imperialismi del XIX secolo. Ma ciò non significa che le nazioni non siano invenzioni pericolose. Anche il nostro mondo globalizzato è pericoloso, tuttavia. Oggi più di ieri. E molti vedono nella nazione proprio l’istituzione che ci difende dai pericoli della globalizzazione.