Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 10 Sabato calendario

VIA POMA, BALLETTO DI TESTIMONI «TRA NON RICORDO» E SMENTITE

il giorno di Francesco Caracciolo di Sarno e di Mario Macinati. L’ex presidente degli ostelli della gioventù e il suo factotum hanno testimoniato ieri nel processo per l’omicidio di via Poma. Il loro racconto era molto atteso, perché avrebbe dovuto aiutare la Corte d’assise e i giudici popolari a sciogliere uno dei principali misteri di tutta questa storia: due telefonate arrivate alla tenuta di Caracciolo alle 20,30 circa e alle 23 del 7 agosto, quando Simonetta era già stata uccisa, ma il corpo non era ancora stato trovato. Due chiamate fondamentali che, per l’accusa, sarebbero state fatte da Pietrino Vanacore per avvertire di quanto era successo. Il portiere non potrà più raccontarlo, anche se ha sempre negato ogni responsabilità nella vicenda. E i due testi non hanno aiutato a ricostruire come andarono le cose. Anzi si sono contraddetti l’uno con l’altro.
L’avvocato Francesco Caracciolo ha sostenuto di non aver mai saputo di quelle telefonate: «Lo apprendo oggi. Macinati dice balle e fesserie». E ha aggiunto: «Non ho mai conosciuto Simonetta Cesaroni, non l’ho mai vista. Non ricordo neppure quando seppi della sua morte. Forse il giorno dopo venni informato dal signor Sibilia. Ricordo soltanto che mi rivolsi al magistrato per ottenere il dissequestro degli uffici per portare avanti il lavoro e garantire gli stipendi al personale. Di fronte all’efferatezza del delitto, ho scelto la via del silenzio: mai con nessuno avrei parlato di questo argomento». L’ex presidente del Comitato regionale Lazio dell’Aiag, nonostante i ripetuti inviti degli avvocati di parte civile di fare uno sforzo e di rievocare, scavando nella memoria, fatti e circostanze utili alle indagini, è stato freddo e respingente: «Di questa pagina ho dimenticato tutto - ha sostenuto - Già di mio faccio fatica a rammentare i nomi e gli episodi. Non espressi cordoglio alla famiglia perché Simonetta non era una nostra dipendente (ma della Reli sas). Mi dispiacque per quello che era successo ma non conoscendo nessuno non sapevo neppure a chi mi sarei dovuto rivolgere». Poi, rispondendo alle varie domande, ha aggiunto: «Non mi risulta che diedi disposizioni circa l’utilizzo orario della ragazza. Nemmeno sapevo il sesso della persona che fu assunta. Non partecipai neanche al colloquio per conoscerla. Figuratevi se potevo entrare nelle specificità delle mansioni. Io ero il presidente, ma sul piano pratico c’era un direttore di sede». A Caracciolo è stato anche chiesto di una frase riferita alla dipendente Luigia Berrettini nello studio di via Brofferio, che riguardava il delitto («questa è una cosa grandissima, quando sarà tutto finito, ne riparleremo»).
Dopo di lui è toccato a Mario Macinati e al figlio parlare in aula. La procura ha fatto sentire una intercettazione tra i due e il contenuto è apparso ai limiti della farsa. Macinati è sembrato un po’ un ”compagno di merende”, in bilico tra la scelta di dire la verità e la voglia di non aver rogne. Poteva avvalersi della facoltà di non rispondere perché indagato per falsa testimonianza, ma davanti alla Corte ha detto: «Io sto gnocco me lo voglio proprio levare. Parlo, sì, che parlo». Ha ricordato, quindi, delle due telefonate raccolte dalla moglie e si è contraddetto quando ha modificato la versione iniziale in cui affermava di conoscere appena Vanacore, «di averci preso al massimo un paio di caffé». «Non l’ho mai conosciuto - ha affermato ieri - io il caffé l’ho preso con Sibilia, mi ero sbagliato». A seguire è stata la volta di Luigia Berrettini, l’ultima persona che potrebbe aver parlato al telefono con la vittima. «Il nostro rapporto era di cortesia, ma io quella ragazza l’ho sempre solo sentita per telefono».