IRENE MARIA SCALISE, la Repubblica 11/4/2010, 11 aprile 2010
MAYA SANSA
Parigi. Quando si dice il fascino del sangue misto, bisogna avere incontrato almeno una volta Maya Sansa. Padre iraniano e madre italiana, entra nel bistrot di uno dei più antichi alberghi di Parigi, con una grazia tutta sua. Mediterranea ma anche esotica. Riservata eppure fiera. Occhi come il carbone e pelle d´ambra. E, per amalgamare la pericolosa miscela, un tocco di freddezza nordica e il fascino francese regalo degli ultimi quattro anni di vita parigina. gentile Maya Sansa. Dolce nei modi e nel tono di voce. Dicono sia timida ma semplicemente è una che difende i suoi spazi. A vederla così, scarpe da ginnastica, jeans e coda di cavallo, sembra una ragazza alle prime armi e, invece, da dieci anni non fa che girare un film più "giusto" dell´altro. La balia di Marco Bellocchio, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, Buongiorno notte ancora di Bellocchio e L´amore ritrovato di Carlo Mazzacurati. E poi, naturalmente, tanti titoli francesi: Les femmes de l´ombre di Jean-Paul Salomé o Villa Amalia di Benoit Jacquot. Per non parlare dei premi vinti. Anzi stravinti. La Grolla d´oro come rivelazione, il Nastro d´argento come migliore protagonista, due nomination al David di Donatello e il premio di migliore attrice per le miniserie del Roma Fiction Fest.
Lei tanto successo non se lo sarebbe aspettato quando, ancora giovanissima, era un´appassionata di immagini. «Ho sempre amato fotografare il mondo», spiega davanti a una spremuta d´arancia che ordina con impeccabile pronuncia francese, «poi mentre studiavo al liceo classico a Roma ho deciso di frequentare un corso di teatro ed è cominciata l´avventura».
Al ritorno dalla scuola, la giovane Maya trovava un gioioso esercito di donne ad accoglierla. La sua infanzia, infatti, è stata tutta al femminile. cresciuta tra la mamma, la nonna e mille amiche e ha conosciuto il padre solo a quindici anni. «Sono stata lungamente figlia unica, anche se poi è arrivata una sorellina di quattordici anni che adoro, ma non mi sono mai sentita sola perché in casa c´erano tante persone ed erano tutti come dei genitori adottivi. Mia madre era la tipica ragazza degli anni Settanta e lei, come mia nonna, mi ha sempre incoraggiata a credere nei sogni, ma anche a capire che l´indipendenza della donna è un valore e che non ci sono mariti che assicurano il futuro».
A diciotto anni, la ragazzina dagli occhi come il carbone decide però di lasciare Roma. Uno strappo dalla famiglia e dal quartiere dove è cresciuta. Violento ma necessario. «La capitale rimane una città bellissima che mi emoziona ma, in quel momento, avevo il mito delle grandi scuole che offrono una preparazione completa». La scelta cade su Londra. Gli inizi non sono facili e, per pagarsi la retta, Maya Sansa si trasforma in studentessa lavoratrice. Naturalmente lo fa a modo suo. «Invece di fare la cameriera, come succedeva a molte mie coetanee, sono entrata in un cinema come maschera. Era tutto faticoso ma bellissimo e, in quelle sale buie, sentivo e risentivo i film in inglese per migliorare l´uso della lingua».
La mattina, stanca ma felice, corre tra le lezioni e i primi provini. Nel 1999 si diploma alla Guildhall school of music and drama di Londra: «Era adrenalina allo stato puro e camminavo a tre metri da terra senza percepire la stanchezza». Nello stesso anno debutta nel film La balia di Marco Bellocchio. «Marco è un maestro unico e con lui ho imparato tante cose perché ha un´immaginazione esplosiva e, soprattutto, quella sicurezza che gli permette di lasciare lavorare l´attore in libertà». Ripensando ai primi passi, le brilla ancora lo sguardo. Maya Sansa ha l´ottimismo di chi è riuscito subito in quello che voleva ma, anche, la sobria consapevolezza che non sempre il cammino può essere in discesa. E se il New York Times le ha dedicato un´intera pagina, definendola «La nuova icona italiana», sembra non essersi montata la testa: «Quando le cose cominciano così bene come nel mio caso, senti un pensiero positivo che ti trasmette un´energia pazzesca e la consapevolezza di poter realizzare quel che desideri. La fatica casomai arriva dopo perché, a un certo punto, bisogna aprire gli occhi e capire che non è un mondo facile». Ma una cosa l´ha sempre salvaguardata dalle paure. La capacità di entrare in armonia con il gruppo. D´inventarsi ogni volta una nuova famiglia. «Il cinema ti fa incontrare delle persone straordinarie, anche se poi la vita quotidiana è un´altra cosa. Io non sono un´ingenua, ma semplicemente una che cerca di capire quanto sia importante mantenere la passione e la gioia degli inizi».
Il grande pubblico impara a conoscerla, e ad amarla, nel personaggio della fotografa Mirella Utano ne La meglio gioventù. Un film lungo sei ore che, per Maya, sono volate. « stata un´opera che potrei paragonare a una grande vacanza, lavorare in luoghi meravigliosi come Stromboli mi sembrava incredibile». Anche in quest´occasione il rapporto con il regista, Marco Tullio Giordana, è stato armonioso anche perché per Maya lui era un mito. Aveva ammirato la sua potenza narrativa nei Cento passi mentre Giordana l´aveva scelta dopo aver visto i suoi primi film. La Sansa, insomma, è una che conquista la fiducia di chi sceglie di dirigerla ancora prima del ciak. Quindi arriva l´interpretazione, dura come una lama, della brigatista carceriera di Aldo Moro in Buongiorno notte. Nuovamente riesce ad ammaliare le sale. Piace alle donne, e conquista gli uomini, quella sua grazia caparbia.
Dopo gli esordi, Maya recupera il teatro con Le metamorfosi. « stato molto importante lavorare sul palcoscenico e riconosco che c´è una tensione emotiva più forte rispetto al set, anche se io ho una concentrazione breve e intensa più simile a quella del cinema». Il mondo dello spettacolo, anche per lei, è fatto di alti e bassi. Ma non sembra una donna ansiosa. Una che patisce le montagne russe: «Trovo che purtroppo il sistema sia inflessibile con gli attori che da produttori e registi sono presi in considerazione solo se l´ultimo film è stato un successo. Il passato si dimentica troppo rapidamente».
Nel quotidiano sorprende e si sorprende. Non ha mai frequentato con costanza una palestra o un corso di yoga. una nomade che si aggira tranquillamente tra un paese e l´altro: «Ho scelto la Francia perché ero sicura che avrei potuto assorbire una cultura molto ricca e imparare una nuova lingua». Nell´avventura ha trascinato il compagno con cui, da otto anni, condivide una storia d´amore. Lui si chiama Fabrice Scott, è un attore di teatro e, quando lo nomina, Maya cambia espressione: «L´ho convinto io a venire a Parigi, del resto anche lui è un girovago e aveva studiato a Londra, anche se poi ci siamo incontrati in Italia. Se non entrano in gioco dinamiche negative, avere un uomo che fa lo stesso mestiere è meraviglioso, chi altro potrebbe capire il nostro stile di vita, le riprese senza orario e le lunghe pause dal quotidiano?». Anche sul set la Sansa non è una competitiva. Anzi. «Sono convinta che la determinazione non coincida con la rivalità e credo che sia buono concentrarsi sulla propria traiettoria senza giudicare il percorso altrui».
Più si racconta, Maya Sansa, e più sembra acquistare fascino. Le mani piccole spostano lo schermo dei capelli. La risata è accattivante. Ma se si affronta l´argomento della bellezza si ritrae dietro un sorriso imbarazzato: «Il percorso che ho fatto non c´entra niente con il fisico, non mi sono mai sentita particolarmente bella e ho sempre pensato di lavorare sodo proprio perché non ritenevo che l´aspetto fosse la mia carta vincente». Forse anche per questo si è allontanata dall´Italia. Una girovaga alla ricerca di altri valori. «Gli inglesi sono molto più attenti al talento e alla professionalità che alla bellezza, o meglio usano il corpo, ma come mezzo con cui sentirsi a proprio agio nella recitazione. A scuola, tanto per fare un esempio, avevamo tutti delle tute super aderenti proprio per imparare a vivere il fisico in modo disinvolto».
Sul domani è misteriosa. Il futuro di Maya sembra pieno di sorprese. ancora nelle sale il film L´uomo che verrà di Giorgio Diritti, premiato al Festival di Roma. Applauditissimo. Adesso la attende il Kenya per un film diretto da Silvio Muccino. Poi una pellicola, in Canada, con il regista Claude Miller in cui interpreterà una nipote di indiani d´America. «Recitare in un altro paese ti permette di entrare in possesso dei luoghi e del quotidiano. Adoro quel rapportarsi in modo diverso alla gente e alla cultura e, anche questo, trovo sia un dono del mio meraviglioso mestiere». E infine tanto lavoro in Francia anche se non esclude, prima o poi, di tornare in Italia. L´importante è riuscire a mantenere la stessa intensità: «Quando interpreto un film è come se entrassi in una bolla che cerco di gestire il più possibile fuori dal set senza che gli altri se ne accorgano. Può essere anche terapeutico. Se, per esempio, recito una parte molto drammatica, dopo sono felice, una sensazione catartica che lascia un´impalpabile leggerezza». Nel rivedersi non è mai severa: «Mi guardo in modo critico ma cerco anche di essere gentile con me stessa». Guarda l´orologio e si scusa. Ha un appuntamento con un produttore francese. Le trema la voce mentre lo dice perché anche per un´attrice affermata, in fondo, ogni volta è come la prima volta.