lettera al manifesto 31/03/2010, 31 marzo 2010
LETTERE
Sono uno studente universitario di 27 anni che si professa filocomunista, ma che domenica, al momento fatidico, ha posto una croce su Alberto da Giussano. Perché? Per diversi motivi: tanto per cominciare, un partito comunista in Italia non c’è. Ci sono tanti partitelli bellicosi e fastidiosi che non andranno mai da nessuna parte. Poi, quando dico di essere filocomunista, intendo dire che credo nell’ideale economico, nella lotta di classe, non nelle tante battaglie post-sessantottine che sembrano essere diventate la principale preoccupazione della sinistra di oggi (non me ne vogliano gli omosessuali, ma preoccuparsi delle unioni di fatto oggi è come preoccuparsi di raddrizzare i quadri durante un terremoto...). Infine, la questione immigrati: il razzismo è sbagliato, ma anche il suo opposto lo è, e c’è poco da fare i buonisti amici di tutti, quando ti arriva un campo nomadi vicino a dove abiti e, guarda caso, in un mese vieni derubato quattro volte; o quando il tuo collega rumeno ti dice che gli italiani sono schiene dritte (falso, io mi sono sempre fatto il mazzo, me lo faccio tutt’ora, e ne conosco tanti altri come me); o quando tua cugina ti racconta che nella sua classe, a maggioranza di stranieri, si sente dare dell’«italiana di merda». A cantare le lodi della società multiculturale son buoni tutti, ma provate a scoprire come la pensa chi si trova a «godere» in prima persona di questi «benefici». Provate a scendere nei quartieri popolari, nelle periferie, nelle fabbriche dannazione. Il razzismo è sbagliato, ma anche il voler tapparsi gli occhi davanti a un problema reale è sbagliato. Ora lapidatemi, datemi del razzista, del servo del padrone, dell’ignorante. So che molti di voi lo faranno. Ma se c’è qualcuno di mente aperta che ha davvero a cuore l’interesse del Paese, qualcuno che le elezioni ogni tanto vorrebbe vincerle e che non si accontenta di essere un bellissimo perdente, ecco, io mi rivolgo a quel qualcuno: pesa le mie parole, vienimi incontro. Fammi sentire la tua presenza nelle fabbriche. Fammi sentire capito, non criticato e messo dietro la lavagna, quando ti parlo del mio disagio con il rom che viene a rubarmi in casa. Fammi sentire che non ci sono soltanto i matrimoni gay e il diritto di voto agli immigrati, ma che ci sono anch’io, povero signor Rossi qualunque, che ha l’unica colpa di non appartenere a nessuna minoranza etnica, sessuale o religiosa, e che di conseguenza viene sistematicamente ignorato da quello che una volta era il partito dei lavoratori. Credimi, siamo in tanti a pensarla così.
Uno tradito