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 2010  aprile 10 Sabato calendario

IL ROMANZO NON ENTRA PIù IN CABINA


E così l’Agcom ratifica l’obsolescenza delle cabine telefoniche che Telecom potrà rottamare. Passa un discrimine attraverso questi oggetti? Come guarderemo la letteratura ora che sono votati alla desuetudine, ricordando il saggio di Francesco Orlando (Einaudi, 1997)? Un grillo nelle nostre menti ci terrà all’erta e leggeremo con un’attenzione alla presenza o assenza delle cabine? Difficile dirlo. L’immaginazione narrativa anche più futurologa non ha sempre previsto il tramonto del telefono fisso. Wenders immaginò videotelefoni evoluti nel suo «Fino alla fine del mondo», tuttavia ben inchiodati nei muri.
Persino gli eroi di «Matrix» (the movie, naturalmente) necessitavano a volte di una presa a muro per saltare dentro o fuori dalla matrice. Sarebbe facile dire che c’era un’etica della «cabina», morta con i cellulari cafoni. Nelle cabine la gente orinava, bruciava con l’accendino la plastica dell’apparecchio, imbrattava i vetri e si girava dandoti la schiena quando tu eri in palese emergenza con il tuo gettone in mano, fuori. Probabilmente il discrimine passa solo nei telefonini e lo svanire delle cabine ne è una mera conseguenza. Il buon Zuckermann tematizza ciò nel «Fantasma esce di scena» (Philip Roth): ad acuire il suo senso di non appartenere più al mondo è la «telefonata improcrastinabile». Potremmo allora leggere narrativa con un grillo in testa, attento a una datazione sotterranea: AC o DC, come per i secoli. Ma le sigle adesso significano: Avanti e Dopo Cellulare.