Lucia Sgueglia, La Stampa 10/04/2010, 10 aprile 2010
«FARO’ DELLA MIA CECENIA UNA NUOVA SVIZZERA»
Quando Ramzan chiama, devi accorrere subito, luogo e ora esatta restano incerti fino all’ultimo secondo. Perché anche se il suo mantra è «il mio popolo mi ama» e «ho tutto sotto controllo», ultimamente il leader di ferro di Cecenia avrebbe schivato vari attentati, più di quanti ne ammetta. L’ultimo la notte di capodanno, quando è apparso nella piazza centrale di Grozny vestito da Babbo Natale per distribuire doni ai bambini, sotto l’albero. Pare non si fidi più neppure dei suoi legionari, i famigerati «kadyrovtsy», ne avrebbe fatti fuori una trentina. E oggi che il filo rosso del terrore da Mosca porta di nuovo qui, con la rivendicazione della strage al metrò del «califfo» Doku Umarov, la «pacificazione cecena» rischia di rivelarsi un villaggio Potemkin.
Nell’atrio del teatro Centrale svuotato degli ospiti poco dopo una celebrazione ufficiale, tra marmi e lustri resta solo lo sguardo ansioso di guardie del corpo, il cameraman privato, gli addetti stampa. Lui spunta all’improvviso, avanza con passo deciso, quasi a balzi. Indossa una divisa verde militare stile vecchia Armata Rossa. Sorride. Il rude ex guerrigliero elevato a premier padre-padrone di Cecenia da Vladimir Putin nel 2004 (e poi presidente nel 2007), è cresciuto. Ha studiato il russo, cerca di mostrarsi affabile coi giornalisti «provocatori», convinto che la sua immagine di «mostro» sia un problema di cattiva pubblicità. Si accomoda su un divanetto, con un colpo della mano indica: «Siediti qui». «Ti sta bene il fazzoletto in testa, sembri una delle nostre. Lo porti anche in Italia?». Quel piccolo triangolo di stoffa, piu bandana che velo, su suo «consiglio» ogni donna «modesta» di qui è tenuta a portarlo in pubblico. La dissidente Natalia Estemirova si rifiutava, lui la chiamò «nemica della Cecenia e della Russia». E Putin? Nel 2000 ha raso al suolo Grozny… «Non aveva altra scelta - si affretta a rispondere, - doveva riportare l’ordine. La Cecenia stava finendo nelle mani dei Paesi islamici, sharia, separatismo avevano diviso i ceceni…».
Oggi sulle tv locali (Ramzan ne è protagonista principale), negli spot che raccontano la nuova Cecenia, quei 10 anni di guerra con Mosca sono spariti, dall’Urss si passa all’idillio della pace. «Sui suoi metodi non commento, - parla ancora del suo padre putativo, Putin, cui deve tutto il suo potere. L’addetto stampa comincia a sudare. - Ma personalmente lo stimo moltissimo, ha fatto tanto per il nostro popolo». Dopo la strage di Mosca Kadyrov s’è difeso: «Non vi affrettate a dire che sono caucasici, i terroristi non hanno nazionalità né religione». Poi ha rifiutato l’invio di rinforzi federali, «ci pensiamo noi». E dal palco del teatro dice: «Dobbiamo essere uniti contro chi vuole dividerci, e andare avanti». «Uniti» significa un’opposizione politica annichilita. «Oppositori? Il 90% del popolo è con me. Vuoi scommettere? Usciamo e bussiamo a una porta a caso. Scegli tu. Vediamo se ci offrono il tè?»
Fuori c’è la nuova Grozny, il suo miracolo incontestabile, ricostruita dalle ceneri in tre anni. Tutto coi soldi di Mosca, valanghe. Si dice che la notte il leader instancabile, senza bodyguard, esca in incognito a controllare i cantieri. Strade perfettamente lastricate, semafori col contasecondi, l’aeroporto internazionale, negozi di lusso, sushi bar, caffè trendy, il nuovo complesso Grozny City surreale con prato inglese e pista di pattinaggio sul ghiaccio. Basta coprifuoco, i giovani passeggiano dopo il tramonto, molti portano un berretto con le iniziali R.A.K.: per loro Ramzan è un mito, prima, non han conosciuto che guerra. Sulla strada per Stari Atagi, c’è un chiosco di alcoolici fatto saltare in aria tre volte «dai wahabiti». L’alcool è bandito nei locali, ma basta allungarsi tra le bettole dei sobborghi per trovare spiriti venduti sotto e sopra il banco, stanze cieche inondate di fumo, una Grozny parallela. Dove il culto della personalità, o meglio della famiglia Kadyrov, comincia a stufare: «Il sistema ceceno è basato sui clan, non tollera un leader unico - confessa un intellettuale locale. - E questi riti asiatici non fanno per noi». Sulla strada verso Argun contiamo 14 ritratti del 33enne presidente, uno ostenta un cuore rosso lampeggiante: «Vivi per prenderti cura di noi!».
Ma villaggi e montagne intorno restano blindati. Esattamente un anno fa Mosca ha messo fine al regime speciale antiterrorismo che durava da 10 anni, cantando vittoria. La caccia ai ribelli però continua con «operazioni speciali» chirurgiche. «I terroristi? Poche decine da noi, e presto li elimineremo. Sai, in realtà vorrebbero arrendersi, ma hanno ucciso dei ceceni, e qui abbiamo questa tradizione, la vendetta». Poco tempo fa Kadyrov ha proposto di trasformare la Cecenia in una «Svizzera del Caucaso», tra sciatori e turisti. Sulla strada per Shatoi, tra i picchi a sud, i posti di blocco con guardie pesantemente armate si susseguono. «Sono controlli per il traffico», minimizza. Lo smentisce un ufficiale russo di Briansk, in guardiola nel fondovalle: «Qui è ok, tranne quando sparano». Succede spesso? «A volte». Ironico Shamsuddin, autista del villaggio: «Per snidarli ci si mettono in tanti, russi e nostri, blindati ed elicotteri. Una volta ci finii in mezzo per sbaglio, ero a caccia. Uccidono tutto ciò che gli capita a tiro. Prima ammazzano uno, poi gli chiedono come si chiama? E dopo dicono che era un guerrigliero, difficile da morto provare il contrario». Putin, in nome della stabilità, ha dato a Kadyrov jr. carta bianca in Cecenia. Ma dopo un periodo di relativa calma, quest’anno le vittime di attentati e scontri tra ribelli e forze dell’ordine sono raddoppiati, 292. Violenze, arresti arbitrari, persino torture continuano nell’ombra, denuncia la ong Memorial. Le due Cecenie parallele.
Non solo nei boschi. Alla periferia di Grozny capita che un commando di uomini mascherati circondino una villetta: «Vi si nascondono guerriglieri». Li liquidano direttamente sul posto, danno fuoco all’abitazione. A volte ai raid partecipa Ramzan in persona, le tv locali trasmettono anche quello. Molti «sospetti» vengono rapiti e imprigionati da «ignoti», i loro familiari non hanno tregua. Diritti umani? Un anno e mezzo fa, irato per le critiche, Kadyrov convocò i capi di Memorial. Proponendogli una sfida al programma tv russo Barriera: due avversari devono conquistare i voti del pubblico. «Se vinco io, lavorerete per me». Poi, ha rinunciato al processo per diffamazione contro la ong, per far contenta la mamma.