Lauretta Colonnlelli, Corriere della Sera 09/04/2010, 9 aprile 2010
DE CHIRICO LA SCENA INQUIETA
Diceva dei critici: «Anche quelli che mi sono favorevoli non capiscono nulla della mia pittura». Chissà quali sarebbero i commenti di Giorgio de Chirico sulla mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove il curatore Achille Bonito Oliva ha messo a fuoco il rapporto dell’arte del Pictor Optimus con la filosofia del «naturale». Il proposito è di presentare l’artista, conosciuto soprattutto per i suoi scenari artificiali, come un esploratore dell’idea di Natura. Idea che rimane per de Chirico un riferimento poetico costante, ma che nella sua opera non approda mai a soluzioni naturalistiche.
lui stesso a mettere in guardia lo spettatore: «L’arte ci mostra sempre una natura idealizzata o, perlomeno, cambiata, per il fatto stesso che è dipinta o disegnata. La natura raffigurata in un quadro vive e vibra in un modo assolutamente diverso della natura nella realtà». Nell’arte di de Chirico’ dice Bonito Oliva’ l’iconografia del naturale trascende se stessa, perennemente investita da interferenze concettuali che ne trasformano le valenze realistiche in direzione di uno straniamento psicologico, misterioso e surreale, strettamente riconducibile all’etimo stesso di metafisica». Termine derivato dal greco, che significa «oltre ciò che è naturale».
Non sono naturalistici i manichini di de Chirico, mezzi umani e mezzi robot, né i suoi paesaggi mitologici e neppure le sue Piazze d’Italia, che addirittura furono copiate dagli architetti del regime fascista, unico esempio in cui la raffigurazione della veduta nasce prima della veduta stessa. E non sono naturalistiche le sue nature morte, che lui infatti chiama «nature silenti», ispirato dalla lingua inglese e da quella tedesca dove il termine equivalente è «still life» e «still leben»: vita silenziosa. «Le nature morte’ scrive il pittore’ rappresentano le cose che non sono vive nel senso del movimento e del rumore, ma che sono legate alla vita degli uomini, degli animali; queste cose stanno sulla terra, su questa terra che respira intensamente la vita che è piena di rumori e di movimento». L’esposizione romana, che chiude le celebrazioni dechirichiane del 2008-2009 (l’artista è nato nel 1888 a Volos in Tessaglia e morto a Roma nel 1978) in corrispondenza del centenario della Metafisica, racconta in maniera esaustiva il percorso artistico e filosofico di de Chirico, anche con capolavori poco conosciuti come La Surprise del 1914, la cui ubicazione era ignota da decenni. Le 140 opere, distribuite nelle sette gallerie situate ai lati della Rotonda del Palaexpo, sono divise per temi. Nella sezione «Natura del mito» sono collocati i dipinti con le figure mitologiche immerse nei paesaggi greci della sua infanzia: i Cavalli con dioscuri, la Lotta dei centauri, le celebri Muse inquietanti. In «Natura dell’ombra» si passa allo spazio urbano, rappresentato in innumerevoli Piazze d’Italia il cui «preludio», insieme alla nascita della sua Metafisica, si manifesta a Firenze nel 1910: «Avevo cominciato a dipingere soggetti dove cercavo di esprimere quel forte emisterioso sentimento che avevo scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d’autunno, di pomeriggio, nelle città italiane».
La sezione «Natura da camera», prende spunto dai vari dipinti dedicati ai Mobili nella valle, dove armadi e poltrone sono ritratti all’aperto, dentro scenari naturali e primordiali. L’idea venne all’artista vedendo dei mobili messi sul marciapiede da un mercante. In «Anti-natura» compaiono i famosi manichini e automi; in «Natura delle cose» gli ibridi assemblaggi di oggetti che compongono le macchine metafisiche; in «Natura aperta», gli elementi primordiali aria, fuoco, terra e acqua; in «Natura viva», le composizioni in cui ribalta il concetto di natura morta. La prima la dipinse nel 1900: «Questa mia prima vita silente raffigurava tre grossi limoni, con le loro foglie, posati sopra un tavolo. Il modellato del limone centrale non mi riuscì e quel limone sembrava più un piccolo scudo giallo che un limone. Penso però che io avevo appena 12 anni e il "grande" Cézanne, già vecchio, dopo aver dipinto per tutta la vita, faceva delle mele che invece di essere convesse erano perfettamente piatte e a volte perfino concave». Il quadretto non asciugava mai. Ancora inesperto, il pittore che 28 anni dopo avrebbe pubblicato il «Piccolo trattato di tecnica pittorica» noto in tutto il mondo, aveva diluito i colori con l’olio d’oliva.
Lauretta Colonnelli