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 2010  aprile 09 Venerdì calendario

Nicolai Lilin: con l’inchiostro nell’anima. Il primo romanzo, "Educazione siberiana", ha fatto incazzare tanti (sarà perché ha venduto un botto?)

Nicolai Lilin: con l’inchiostro nell’anima. Il primo romanzo, "Educazione siberiana", ha fatto incazzare tanti (sarà perché ha venduto un botto?). Per il secondo, fresco di stampa, tira la stessa aria. Ce lo ha spiegato Nicolai Lilin in persona. Mentre ci tatuava «Non puoi chiedere a un assassino se è giusto uccidere». Dovevo avercela stampata anche sul coppino, quella domanda stridente, che mi ero ben guardato dal fare a un ex cecchino. E invece, con una tempistica da telepate, la risposta si è fissata a caratteri cubitali sul muro che un minuto fa stavo fissando a vuoto. «Dritto, braccia in giù. Così, perfetto… No, no, no, non abbassare la testa, cazzo». Sbuffi. «Niente, hai abbassato la testa». Silenzio. «Cazzo!». Brividi. Chiedo scusa. Scusa, Nicolai, se mi stai tatuando la schiena con una STI calibro 45 in bella vista sopra i tuoi jeans firmati, che sembri una guardia giurata. Di nuovo il rumore della macchinetta, di nuovo la sua voce, come se fosse stato interrotto un di-scorso: «Alcuni arrivano qua perché credono che io abbia scritto un libro bello e vogliono a tutti i costi avere un ricordo, per far vedere agli altri che mi hanno conosciuto e poter raccontare che sono un tipo strano che gira con la pistola. Vantandosi, magari: "Sai, oggi vado da un criminale a farmi un tatuaggio"». E infatti. A dire il vero, la nostra scusa ufficiale è un’intervista con Nicolai Lilin per l’uscita di Caduta libera, il seguito di Educazione siberiana, sorprendente romanzo d’esordio – vero caso letterario del 2009 – edito da Einaudi. Del controverso scrittore-tatuatore di origini russe emigrato in Italia, che sulla storia di un ragazzo cresciuto nella comunità criminale siberiana in una città della sperduta Transnistria sta costruendo un’epopea in tre atti, si è detto di tutto: che il suo primo libro è scritto troppo bene per essere frutto di uno che parla l’italiano da otto anni. Che le storie raccontate sono false, e la Transnistria è un’oasi di civiltà. Che Lilin abbia militato nei servizi segreti, per le sue amicizie più disparate e trasversali, che vanno dal fondatore della loggia P2 Licio Gelli a Roberto Saviano. Che sia solo un poser con molta fantasia e con il carisma di un gangsta rapper. Tanta roba, insomma, perché Lilin sta sul cazzo a parecchi. Di questo parliamo nella sede della sua associazione culturale, Libre. Io mezzo nudo, lui vestito per lo più di nero, con due guanti di lattice da dottor Mengele e la macchinetta in mano, sgocciolante il mio sangue. Su questa storia del tatuaggio, che è un po’ la tessitura narrativa del suo primo libro, mi spiega subito alcune cose. Primo: «Io tatuo solo gli amici e chi ha letto Educazione siberiana». Secondo: «Non bisogna mai chiedere cosa significano i codici della nostra tradizione, soprattutto a una persona che li ha addosso, perché nella maggior parte dei casi è un ex galeotto. Una volta funzionava così: la persona veniva e raccontava la sua particolare storia, il tatuatore la codificava e gliela tatuava addosso, e magari i simboli rimanevano oscuri allo stesso criminale, il segreto era custodito dal tatuatore». Terzo: «I simboli più antichi sono l’occhio (che compare quasi sempre), la corda, la chiave e il coltello. Ma forse siamo solo io, tu e tutti quelli tatuati da me i rincoglioniti che vanno in giro con i codici di una tradizione che non c’è più… Rimane il fatto che per me è segno di rispetto nei confronti di tutte quelle persone che hanno fatto lotte allucinanti per sopravvivere contro il regime comunista». Quarto: «Ogni sforzo umano deve essere pagato. Compreso il tatuaggio. Ma io non dico mai il prezzo, dico sempre: "Dammi quello che secondo te è giusto"». Quinto: «Il tatuaggio è come una lettera di una grande storia che alla fine ricopre tutto il corpo. I criminali lo portavano come una divisa militare. Si porta perché te ne danno una, "ecco, tieni, stai zitto e non rompere i coglioni". Così era, per loro». E così è stato per me, che ho "vinto" un occhio, una fiamma, un pugnale, un osso e un libro. E così è stato per il tipo in coda dopo di me. «Era un ex rapinatore», mi racconterà più tardi Nicolai, «si è fatto un po’ di galera e in carcere gli hanno fatto leggere Educazione siberiana, perché il mio libro era stato inserito nel programma di riabilitazione. Appena è uscito mi ha voluto conoscere». C’è anche la storia del latitante catturato in Barbagia dopo uno scontro a fuoco: «Nello zaino aveva pistole, mitra, caricatori e una copia di Educazione siberiana con la mia dedica: "Con affetto, Nicolai"». Nel prosieguo del romanzo, sappiamo già che dalla pedagogia criminale si passa alla leva militare in Cecenia (dove Lilin ha fatto carriera come cecchino), e proprio negli anni più duri, dal ’98 al 2000: «Caduta libera è dedicato tutto alla Cecenia. Due anni vissuti in guerra dal protagonista, poi ci sarà il ritorno a casa e l’integrazione nella società pacifica. Il libro fa parte di un progetto di tre volumi che raccontano la stessa vita. Ma non è la mia autobiografia. Sono romanzi, ci tengo a sottolinearlo, perché c’è stata un’enorme incapacità di comprensione dei critici, a differenza del pubblico. Poi ci sono le strumentalizzazioni legate alle guerre fra editori, qualche critico pagato, campagne di diffamazione in cui investire. Come se io screditassi Bulgakov sostenendo che il diavolo non è mai arrivato a Mosca!». Lilin definisce la guerra in Cecenia «la più grande operazione antiterroristica di sempre. Che non sarà mai spiegata come si deve. Quella zona è sempre stata un tappo tra la Russia e il mondo islamico…». E così, tra un ritocco e una spruzzatina di disinfettante, si comincia a parlare di che cosa ti frulla in testa quando prendi bene la mira. E spari in fronte a qualcuno. «Com’è? Sopravvivi?». «Tutto a posto, grazie». Devo dire che quando si parla di tatuaggi quella di Nicolai Lilin è davvero una mano di fata. Non si sente niente. Per spiegarmi come ha imparato, mi mostra l’unico oggetto, esclusa la pistola, a cui sembra davvero affezionato: una bacchetta in legno della tradizione siberiana, per tatuare a mano. Avvolta in un tovagliolo, come una reliquia. E in effetti lo è, mi dice, da quando l’ha usata sulla schiena del suo migliore amico, poi ucciso in Russia in uno scontro a fuoco, a cui aveva inciso una madonna "gangsta" con due pistole in mano. «Col passare del tempo hanno cercato di dare una sfumatura religiosa al conflitto», continua Nicolai, a proposito della guerra in Cecenia, «soprattutto nella seconda fase. Dal ’91 al ’96 era una guerra indipendentista, combattevano tutti i cittadini della repubblica; la seconda campagna militare, invece, è stata ideologicamente spinta dal mondo islamico, in particolare dal ’98 al 2000, quando partecipavo io». Con chi avevate a che fare? Kamikaze? «Poche volte, altrimenti non sarei qui a raccontarlo. Più che altro guerrieri e gente che veniva da tutto il mondo: una volta abbiamo catturato un ingegnere tedesco di 30 anni che piazzava le mine. "Che cazzo sei venuto a fare qua?". Non era neanche musulmano. Poi un inglese, che invece era un fanatico islamico». Ci saranno molte scene cruente autobiografiche nel nuovo libro? «Non voglio usare il termine autobiografico. Di certo le storie sono tutte vere». Quante volte ti hanno chiesto se hai ucciso qualcuno? «Tantissime, hanno rotto i coglioni. Come se a una puttana domandassero quanti clienti ha avuto in tutta la sua vita. più intelligente chiedere se ti è piaciuto o no». E ti è piaciuto? «A volte sì. Uccidere un uomo è una caccia, ma chi lo fa per professione o impazzisce - e io ho visto tanti impazzire, perché non hai più un’integrità, ed è tragico quando quella forma biologica che rimane di te ha ancora una divisa addosso, e magari lavora ancora nell’esercito - oppure ci prova troppo gusto e diventa un assassinio-dipendente, e questo deriva da un’incapacità di autogestirsi e controllare la propria paura. Molti lo fanno per dimostrare che non sono deboli e quindi per timore di non essere rispettati nell’esercito. Per non essere rifiutati. da qui che nascono anche i casi di sadismo verso i prigionieri». E tu? «Ho visto esplodere la testa delle persone a cui sparavo. Dicevo a me stesso: è il nemico, lo farebbe lui con me, e io devo sopravvivere. Mio nonno, anche lui ex cecchino, mi diceva di pensare a loro come unità nemiche da eliminare prima che loro facciano fuori te. E poi basta, chiusa lì. Gli altri ti vedono tranquillo e calmo. Ti piazzi lì, pum!, tutto finito, signori buonasera, potete continuare… Allora tutti parleranno bene di te. autocontrollo. Purtroppo ho visto tanti sparare contro qualsiasi cosa si muovesse». Passiamo all’Italia. Gli scandali politici di questi giorni ti toccano? «Questa non è politica. Se uno a casa sua vuole scopare con la bocca o con il culo è un suo sacro diritto umano. Non si può fare politica impedendo a qualcun altro di essere omosessuale o lesbica o di farsi le seghe. La politica riguarda le strutture del paese e le dinamiche sociali. A me non interessa della tua sfera privata, a me interessa che una persona abbia un lavoro, paghi le tasse, rispetti la bandiera e abbia un forte sentimento di integrità nazionale, a prescindere dalla religione. Questa è una sana società». Hai mai pensato di entrare in un partito? «Non sono un politico. E se non mi schiero pubblicamente, non vuol dire che io non abbia le mie idee. Sono diventato un personaggio letterario e credo che una figura di questo tipo non abbia nessun diritto di utilizzare la sua posizione per sponsorizzare qualche partito. come se un panettiere facesse anche il poliziotto: che cazzo c’entra? Il problema di questi giorni, di questo secolo, è che ci sono troppe persone che non c’entrano un cazzo con la politica, ma purtroppo la fanno». Hai spesso elogiato l’integrazione di cui noi italiani siamo capaci. Non sono parole che vanno tanto di moda. «Sono arrivato qui alla fine del 2003. Sono diventato cittadino nel 2005. Ho trovato un sistema molto efficace, anche se tanti si lamentano. Devo dire che lo stato italiano è l’unico che mi abbia aiutato sui documenti. Nella mia ex patria mi chiedevano le mazzette per ogni cazzo di documentino». Ma dopo la Cecenia dov’eri finito? «Ho lavorato un anno e mezzo per un’agenzia israeliana di sicurezza privata in Palestina, Iraq e Afghanistan. Israele è l’unico paese dove le agenzie private possono assumere stranieri». Cosa facevi? «Lasciamo perdere». Perché hai abbandonato la Russia? «Avevo messo da parte un po’ di soldi e sono venuto a raggiungere mia madre, che stava già qui. In Russia la situazione era dura: io faccio parte della prima generazione che ha preso la botta del post-comunismo. La tossicodipendenza è un flagello, in certe regioni è sostenuta dai governi corrotti locali, la polizia fa comunella con gli zingari, che detengono il mercato dell’eroina. In più mia madre aveva molti problemi con mio padre, che la tradiva in maniera disonesta, e tutta la città lo sapeva. Ora mio padre è in Grecia, alla fine abbiamo instaurato un rapporto, e ogni tanto viene a trovarmi». Che tipo era, tuo padre, a parte questa cosa dell’infedeltà? «In qualsiasi paese sia andato, è finito in carcere. Non è cattivo, è che per lui la legge è trasparente. andato in Germania: rapina, galera. Poi in Grecia, 10 anni fa, e ha ucciso un cittadino greco di origini albanesi, perché aveva rotto il cazzo a un vecchio signore armeno con cui faceva affari, così l’ha accoltellato». Educazione siberiana è tutto permeato da una costante figura paterna… «In realtà verso mio zio, mio nonno e gli anziani della comunità siberiana. Sono molto grato alla violenza che mio padre ha usato con me. Il solo fatto che io oggi non fumo – bisogna estirpare dalla faccia della terra l’industria del tabacco, che è un’industria di criminali – è perché mi fece mangiare la prima sigaretta fumata. Oggi questa cosa la rispetto. La sua violenza era un segnale della difficoltà che attraversava tutta la nostra società ». Gira voce che l’anno prossimo uscirà un film tratto dal tuo romanzo d’esordio. «Per adesso stiamo scrivendo la sceneggiatura, con Stefano Rulli e Sandro Petraglia (gli stessi di "La meglio gioventù", nda), a mio parere i più bravi in circolazione. Solo quando ho saputo che avrebbero scritto loro la sceneggiatura ho dato il mio ok alla major che produrrà il film». Come tiravi avanti prima del successo di Educazione siberiana, a parte i tatuaggi? «Ho fatto per un periodo i ritratti su commissione. Avevo trovato questo sito dove c’erano delle persone che facevano annunci su richiesta di ritratti. Mi facevo pagare da 1200 a 3000 euro, per delle tele grosse». Perché non ti piace essere definito "scrittore"? «Perché non lo sono. I Grossmann e i Bulgakov sì, perché lo facevano di professione, avevano studiato per questo, io invece me lo devo guadagnare, anche perché sono maleducato, non ho studiato letteratura, non ho frequentato l’università, sono molto piatto sul discorso letterario. Ma un editor ha creduto in me e i lettori mi hanno appoggiato». Quanto ci hai messo a scrivere Educazione siberiana? «Due mesi. Io lavoro di notte, perché non voglio essere disturbato, e in una notte riesco a scrivere fino a 45 pagine. Perché scrivo così come parlo». Dicono che il libro non lo hai scritto tu. Che qualcuno te lo ha editato. «Sì, il correttore automatico di Word…». Hai famiglia? «Ho una figlia di tre anni. Mia moglie è metà piemontese e metà friulana. L’ho conosciuta in una libreria. una donna molto bella, mia moglie». Sei un padre presente? «No, sono sempre assente e quando sono presente per mia figlia è il momento più felice. Io faccio schifo sia come padre sia come marito. Forse faccio più schifo come marito, perché mia figlia la tratto con più amore che mia moglie». Vai sempre in giro con la pistola? «Certo. Perché credo che lo stato italiano abbia tanti soldi da spendere in altre cose più importanti e io non ho bisogno di 5 agenti di scorta, piuttosto mi faccio ammazzare. Dunque mi è stata data la possibilità di portarla ovunque vado». Chi ti ha minacciato? «Non lo so, le indagini sono in corso: ho ricevuto diversi messaggi molto confusi, alcuni di estrema sinistra e altri da fondamentalisti islamici. Io ci ho combattuto due anni, contro il fondamentalismo islamico, e so che fanno minacce raramente, piuttosto ti ammazzano, però non si possono trattare con leggerezza. Ma sarei stato più turbato se non mi fosse arrivato niente, perché le persone serie ti sparano da un giorno all’altro, nel parcheggio sotto casa». Però ti avrei immaginato con una prestigiosa Beretta… «Mi stai toccando una ferita aperta. Il problema di Beretta è che non è più italiana, la fanno in America, per cui io la devo pagare 1200 euro, mentre uno là ce l’ha a 450 dollari. Questa è una calibro 45, guarda, tira queste patacche qua (mi mostra il caricatore, nda)». Questo primo proiettile, che è di colore diverso, è a salve? «No. anti blindatura. Primo colpo e bum!». Dove spari? «Io insegno a un poligono, qua vicino. Ho un’associazione sportiva frequentata da ex paracadutisti». Quali sono i progetti in divenire che stai curando con la tua associazione? «Sto pensando ad una serie di concerti insieme ad alcuni musicisti, è un progetto di un anno, un live al mese, e per ogni concerto scriverò un racconto inedito che leggerò solo per l’occasione. Una cosa da 200 persone a volta». In un’intervista hai detto che in Russia non vuoi essere pubblicato. Temi ritorsioni? «No, ero solo preoccupato del fatto che l’editoria russa facesse leve poco oneste per far vendere il libro, sfruttando i particolari della storia, magari con uno "scandaletto" veloce veloce, di quelli che dopo una settimana nessuno ricorda più un cazzo. In Russia sono molto bravi a fare queste cose, del resto hanno imparato da noi. Adesso c’è una casa editrice molto importante che si è detta interessata, e io sarei molto onorato». Chi ti ha fatto i tatuaggi nelle mani? «Alcuni li ho fatti io, perché sono ambidestro. Una volta ho rotto il braccio destro e ho dovuto portare il gesso, quindi mi sono messo a disegnare con la sinistra». Come sono i tuoi rapporti con Roberto Saviano? «Mi ha voluto conoscere un mese prima che uscisse il libro, a Milano. Aveva letto le bozze. Ma non lo sento da un po’ di tempo. una brava persona, ma molto incasinato, soprattutto a livello politico. Questa è la differenza fra noi. Mi hanno definito "il Saviano Siberiano". Mi viene il vomito, che cazzo c’entro io con lui? Roberto ha scritto un libro bellissimo di denuncia contro persone che è giusto vadano in galera. Io non ho fatto questo, nessuno è andato in galera. Io non ho problemi di sicurezza con la mafia russa. Questo ci ha allontanato». Gira voce che se ti si fa il nome della Politovskaja hai cose politicamente scorrette da dire… «La maggior parte del popolo russo la odia perché pensano che abbia tradito la patria e balle varie. Io non penso che abbia fatto qualcosa di sbagliato nella sua attività giornalistica. Ma è andata giù pesante con i concetti, una cosa che in Russia una persona sana di mente non farà mai. Sai già che morirai. solo questione di "quanto" durerà questa battaglia. Le cose che ha detto sono vere, ma c’è modo e modo di dirle. Si è messa contro il governo, l’esercito, il nazionalismo estremo russo, diffusissimo. stato come autocondannarsi a morte. Anche se dici cose giuste. Quando parlava di come stavano i civili ceceni aveva ragione, ma non puoi criticare Putin e l’esercito. Non bisogna mai criticare chi fa la guerra. Se tu sei un giornalista di Mosca che non capisce un cazzo di geopolitica e arrivi dove si fa l’operazione antiterroristica più grande del mondo e dici che ai civili manca l’acqua e i soldati russi torturano i prigionieri, ti fai subito odiare dall’esercito. Nella maggior parte dei casi, In Russia i giornalisti muoiono per la loro stupidità e per la loro mancanza di capacità nel capire in che situazione si sono cacciati». Anche il giornalismo italiano non ti sta simpatico… «Ho tagliato tutti i ponti con i media. Soprattutto dopo la guerra editoriale fra "La Stampa" e "Repubblica", perché quest’ultima aveva avuto l’esclusiva del primo libro. Quindi volevano diffamarmi: una poveraccia, mai sentita, ha fatto un viaggio nel mio paese per cercare informazioni su di me. Arriva nella città di Bender, 100mila abitanti, e incredibilmente trova subito miei amici che le dicono che io ero nella polizia, che in Transnistria si sta bene, che la vita è bella e non succede mai niente. Tutto a posto, insomma. Ho letto l’articolo e mi è venuta voglia di ritornare a vivere là… Ma il mio è un cazzo di romanzo, e chi parla pro o contro la veridicità di un romanzo è un maleducato. Sei una merda. Pensaci: una di Mosca che va in Transnistria, dove ti odiano perché sei ricco, ultranazionalista, se la sono sempre pigliata nel culo, e tutti che le aprono le porte: "Entra, cara, vieni". E poi scrive il suo pezzo: "Non ho trovato traccia di comunità criminale". Allora mandiamola a Napoli, in Sicilia, così scriverà che non ha trovato la camorra, la mafia. Ma dove cazzo credi di andare, ma dove lo metti il tuo nasino? Te lo staccano e te lo infilano nel culo, il tuo nasino». «Ecco, ho finito. Guardati. Ti piace?»  bellissimo.