Mario Deaglio, La Stampa 9/4/2010, pagina 1, 9 aprile 2010
INFLAZIONE ARMA ANTI CRISI
In tutti i Paesi i politici sono dei giocolieri della parola, bravissimi a dire e non dire, a sfumare i significati, ad attenuare le alternative, a evitare di esprimersi seccamente con dei «sì» e dei «no». Eppure in questo tormentato inizio di primavera l’Oscar dell’oscurità non spetta a un politico ma uno stimato e serio banchiere centrale e precisamente al presidente della Banca Centrale Europea (Bce), Jean-Claude Trichet. Il 25 di marzo, in un discorso al Parlamento Europeo riunito in seduta plenaria, Trichet ha solennemente affermato che «è in atto una ripresa economica, ma questo non vuol dire che la crisi sia finita».
Tradotto nell’italiano di tutti i giorni, questo suona come un non senso e fa sorgere il sospetto che alla Banca Centrale di Francoforte, come anche a Bruxelles e nei ministeri dell’economia dei principali Paesi avanzati - dove si parla di ripresa «fragile», «discontinua», «incerta» - nessuno sappia bene a che punto siamo davvero.
E in quale direzione stiamo andando e che cosa occorra fare per uscire dagli attuali pasticci. Tutti tremano all’idea che le agenzie internazionali di valutazione finanziaria (rating) possano «degradare» altri Paesi oltre la Grecia, costringerli a pagare interessi elevatissimi per ogni euro preso in prestito facendo precipitare i loro bilanci pubblici nel caos. Eppure il caso della Grecia che, data la modestia delle cifre, potrebbe essere risolto senza troppa difficoltà con qualche intervento governativo, continua a ricevere nulla più che poche, ipocrite buone parole.
In questa generale confusione, si inquadra l’«opportunità» per i governi europei di «ritoccare» progetti di bilancio in cui si prevedevano entrate che, a causa di una crescita probabilmente più bassa di quanto inizialmente previsto, potrebbero dar luogo a minori entrate e al relativo «buco». Il governo italiano ha smentito con decisione l’ipotesi, circolata ieri di una manovra estiva per la non piccolissima cifra di 4-5 miliardi euro, ossia circa 70-80 euro per ogni italiano. In ogni caso occorre serenamente mettere in conto la possibilità che il «buco» nel bilancio pubblico italiano diventi realtà. E non sarà una cosa che l’Italia può risolvere da sola, date le dimensioni del mercato del debito pubblico italiano.
Forse, senza troppi timori di eresia, bisognerebbe accettare chiaramente un tasso di inflazione un po’ più alto di quello, oggi obiettivo della Bce, del 2 per cento che soffocherà qualsiasi ripresa. Il capo economista del Fondo Monetario, il francese Olivier Blanchard, ha suggerito un livello del 4 per cento, suscitando scandalo. Se però fossimo sicuri di controllare l’inflazione a quel livello e di non lasciarcela scappare tra le mani, il progetto Blanchard sarebbe da accogliere con entusiasmo.
In ogni caso, se Tremonti ha coraggio e possibilità di guardare lontano, dovrebbe difendere una visione moderatamente espansionista alla prossima riunione dell’Ecofin, il consiglio dei titolari dei dicasteri economici: oggi obbedire ai dettami della finanza mondiale sarebbe un po’ come somministrare un farmaco che abbassa la pressione quando il paziente ha bisogno di alzarla per evitare il collasso. E’ una ricetta per finire al Pronto Soccorso.
Come ha informato l’Istat nella giornata di ieri, le famiglie italiane sono quasi alla soglia del Pronto Soccorso. Negli ultimi tre mesi del 2009 hanno consumato e risparmiato sensibilmente di meno di un anno fa. Questa tendenza negativa si sta attenuando ed è in corso di riassorbimento ma non si può semplicemente sperare che si tratti dell’ultima onda della tempesta. Basti pensare che, rispetto ai livelli pre-crisi, ossia dai massimi dell’aprile 2008 la produzione industriale italiana è ancora sotto di circa il 18 per cento; le imprese hanno finora retto con molta buona volontà e l’immissione di qualche capitale ma non si può veleggiare troppo a lungo su livelli così bassi senza un forte balzo all’insù della disoccupazione.
I governi europei e la Banca Centrale Europea non possono continuare così, a «giocare» con la congiuntura e a incrociare le dita, a parlare di nuove regole per la finanza, a guardare dall’altra parte quando dalle regole si passa alla necessità di affrontare i debiti pubblici, a cominciare da quello greco. Vi è naturalmente il rischio di un’esplosione, non facilmente controllabile, di malcontento popolare, di cui gli scioperi francesi (e anche inglesi e tedeschi) nei settori dei trasporti potrebbero essere un primo segnale. E in Italia occorre guardare con estrema attenzione alle proteste dei sindaci, ormai divenute collettive e organizzate, nonché a quelle delle unioni dei consumatori, assai più agguerrite di un passato anche recente. Di fronte a queste difficoltà, vorremmo vedere qualche abbozzo di strategia che ci porti, tutti insieme, ben al di là della crescita di circa l’1 per cento (se tutto andrà bene). Ma per il momento tutti sembrano propensi a non far nulla di risolutivo e ad accettare senza scomporsi le sibilline parole del Governatore Trichet.
mario.deaglio@unito.it