Antonella Scott, Il Sole-24 Ore 9/4/2010;, 9 aprile 2010
MARCHIO RUSSO SUL KIRGHIZISTAN
Mercoledì, nel giorno degli scontri a Bishkek, i leader russi ripetevano che Mosca non ha nulla a che vedere con la rivolta dell’opposizione kirghiza, che in poche ore ma al prezzo di 75 morti e più di mille feriti è riuscita a ribaltare lo scenario politico di questa terra dell’Asia centrale, ex repubblica sovietica. Ieri però Vladimir Putin si è affrettato a entrare in scena, telefonando alla leader del nuovo governo ad interim, Roza Otunbajeva, di fatto riconoscendone la legittimità; promettendo aiuti umanitari, «data la natura speciale delle nostre relazioni», mentre Dmitrij Medvedev ordinava l’invio di 150 paracadutisti a rinforzo della base russa di Kant.
Il Kirghizistan rientra nell’area di influenza che Mosca chiama " estero vicino"; con la Rivoluzione dei tulipani del 2005 e con il presidente Kurmanbek Bakijev aveva imboccato la strada aperta da Georgia e Ucraina, allontanando dal potere la vecchia leadership dell’era sovietica; in seguito Bakijev si era trasformato in autocrate, e aveva cercato di destreggiarsi tra Russia e Stati Uniti sfruttando la propria unica carta, una posizione strategica per la guerra in Afghanistan, e irritando il Cremlino con la conferma agli americani della base aerea di Manas.
Visto da Mosca, quel che è avvenuto in questi giorni a Bishkek ha tutta l’aria di un ritorno all’ovile. « importante sottolineare che la conversazione tra Putin e Roza Otunbajeva, la vedeva nel ruolo di capo del governo di fiducia nazionale », ha subito chiarito da Novosibirsk il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, mentre a Bishkek Omurbek Tekebajev, uno dei capi dell’opposizione (o meglio ex opposizione), notificava alla folla che Putin «sostiene le politiche del governo provvisorio del Kirghizistan». Aggiugendo che «ora c’è un’alta probabilità che si accorcino i tempi di permanenza degli Usa nella base di Manas». E la televisione russa sembrava ansiosa di sottolineare che dopo una giornata di scontri tra polizia e dimostranti, e dopo una notte di incendi e saccheggi, «a sole 24 ore dai pogrom» le strade della capitale kirghiza stavano già tornando alla normalità. Roza Otunbajeva ha assicurato a Putin di avere il pieno controllo della situazione.
Il presidente deposto, Bakijev, non ha però alcuna intenzione di dimettersi: lo ha comunicato via mail dalle roccaforti in cui è fuggito, le città di Osh e Jalalabad nel sud, dove starebbe organizzando la resistenza.
Ma come lui stesso ha riconosciuto in un’intervista alla radio Eco di Mosca, l’esercito e le forze dell’ordine sono già passati all’opposizione,«con il probabile coinvolgimento di forze straniere ». A questo riguardo Bakijev non ha però voluto citare alcun paese.
«Ciò che abbiamo fatto ieri ha detto Roza Otunbajeva - è la nostra risposta alla repressione del regime di Bakijev. Potete chiamarla rivoluzione, rivolta del popolo, o resistenza. Comunque sia, è il nostro modo per respingere la tirannia e per dire che vogliamo costruire la democrazia». La signora Otunbajeva ha chiarito che il parlamento è stato sciolto e che il governo ad interim resterà in carica sei mesi, il tempo di preparare «elezioni democratiche»; quanto a Manas, gli impegni presi con gli Stati Uniti verranno rispettati, anche se la Otunbajeva ha avvertito di avere alcune questioni da discutere al riguardo. «Dateci tempo- ha detto ieri- ascolteremo tutti e risolveremo ogni cosa». I voli verso Manas e da Manas verso l’Afghanistan, ha chiarito il Pentagono, proseguono sia pure in forma limitata, senza interferire in modo significativo sulla normale attività.
Per un’economia impoverita come quella del Kirghizistan, dove una crisi pesantissima ha dato fuoco alla protesta, la base aerea affittata agli americani è un contributo cruciale, mentre per gli Stati Uniti questo punto di transito per i rifornimenti ai militari impegnati in Afghanistan non ha alternative nella regione: Washington lo vide in pericolo l’anno scorso, quando Bakijev si fece convincere dai russi ad accettare un pacchetto di aiuti da due miliardi di dollari in cambio dello "sfratto" agli americani, presenza non gradita. Ma quando gli Usa accettarono di triplicare l’affitto della base, il leader kirghizo non seppe resistere.
Il gioco d’equilibrio passa a Roza Otunbajeva ma ora, verosimilmente, la concessione della base di Manas agli Stati Uniti diventerà oggetto di trattativa altrove. Sia pure nello spirito positivo della firma del nuovo Start, si deciderà a Mosca: «In Kirghizistan - ha dichiarato ieri in forma anonima alla Reuters un alto funzionario del Cremlino, da Praga dovrebbe esserci soltanto una base militare. Russa».