Giuseppe Baiocchi, Liberal, 7/4/2010 (ripreso dal blog di Sandro Magister), 7 aprile 2010
SE LA LEGA SI E’ FATTA CATTOLICA. STORIA INEDITA DELLA CONVERSIONE
In principio c’erano un ”extracomunitario che non aveva diritto di parola” (papa Giovanni Paolo II) e una manica di ”vescovoni con i crocioni d’oro” dediti al denaro e al potere, e il lascito avvelenato della ”peste democristiana”. E di contro, un mito dei Celti fieri e invitti, una società all’insegna della natura incontaminata, il nome antico del fiume all’ultimo figlio nato e il rito dell’ampolla dalle sorgenti alla foce del Po, con il contorno chiassoso degli sponsali celtici dell’esuberante Calderoli tra riti druidici e bevute di sidro. E semmai, se proprio si doveva cercar radici nell’epopea cristiana, era sempre tra le eresie: quelle medievali dei Patari milanesi o di Fra’ Dolcino, le più recenti dei giusdavidici del monte Amiata o i più estremisti tra i lefebvriani. E veniva a fagiolo, in tutti i sensi compreso quello politico, quel ”Los von Rom” (’Via da Roma”) che segnava da secoli l’invettiva luterana.
La stagione secessionista del Carroccio (seguita alle politiche del ”96, dove la Lega da sola aveva toccato il massimo tutt’ora ineguagliato dei consensi, quasi quattro milioni di voti) si era altresì contraddistinta per la polemica furibonda contro la Chiesa, nella chiamata ad una nuova religiosità alternativa e popolare, tale da mescolare credenze e superstizioni cristiane insieme a derive ecologiste neopagane. Restava, è vero, la costola robusta dei ”Cattolici Padani”, fedeli all’ortodossia e alla liturgia ecclesiale (oltretutto guidati dal patriarca Giuseppe Leoni che era l’altro indiscusso fondatore del movimento leghista) ma appariva certamente sussidiaria, se non marginale. Anche perché dalla parte di una gerarchia episcopale ancora nostalgica della Dc, e in particolare dalla Chiesa ambrosiana (arcidiocesi che comprende anche il Varesotto), veniva il leit motiv secondo il quale per i fedeli ”votare la Lega non era certo un peccato, ma sicuramente un errore”.
Eppure il nuovo partito sfondava nelle valli e nelle Prealpi, nella ricca fascia pedemontana tradizionalmente ”bianca”. Ma il dialogo sul territorio (a parte sporadici casi di basso clero) era interrotto, se non addirittura inesistente. ”Non si parlano, non si conoscono”, era il preoccupato richiamo dello storico Giorgio Rumi che invece sentiva quanto la buona gente delle valli avesse fondati motivi nel lasciarsi sedurre da un messaggio di protesta, impreciso nei valori e tuttavia suscettibile di derive alla lunga pericolose.
Serviva dunque aprire linee di comunicazione, costruire un ponte di dialogo che, senza anatemi e nella nuova libertà delle scelte politiche, non facesse perdere a quell’elettorato tradizionalmente ”bianco” e moderato il legame forte con le radici cristiane. Toccò allora a chi qui scrive (che per il ”Corriere della Sera” aveva seguito la Lega fin dai suoi esordi) vivere la sfida, accettando per un triennio tra il 1999 e il 2002 la direzione del quotidiano ”La Padania”.
Nella fase di fine millennio si compiva una globalizzazione accelerata che appariva trionfante e invincibile: e, più da vicino, il Carroccio chiudeva, con i viaggi da Milosevic nella Serbia in guerra, la stagione della secessione gridata e solitaria. L’organo quotidiano divenne allora il luogo deputato a un inedito ”annusarsi” con tutte le altre forze politiche (e nella paziente tessitura di quella che poi sarebbe diventata la Casa delle Libertà), nel confronto con intellettuali disposti a ragionare sui temi della società e del territorio (a cominciare da Giuseppe De Rita e Piero Bassetti), nella raccolta nella storia delle voci e delle esperienze culturali e politiche che avevano combattuto la forze dello statalismo centralista.
Non solo: su quella ”Padania” comparvero contributi e commenti di voci di area cattolica di per sé estranee al pensiero federalista e tuttavia capaci di stimolare il dibattito culturale in dialettica con quel pensiero unico che aveva monopolizzato di fatto tutta la stampa nazionale. Come la storica Angela Pellicciari che faceva notare, con incontestabili appoggi documentali, il peso massonico e anticristiano della vicenda del Risorgimento. O, sull’economia, gli acuti esordi nella pubblicistica del banchiere Ettore Gotti Tedeschi , poi arrivato a scrivere su ”L’Osservatore Romano” e di recente assurto a guidare lo IOR, la banca vaticana.
E sul terreno riformatore più specificatamente istituzionale, non mancavano, per logica natura delle cose, i riferimenti corposi a una cultura di origine cristiana. Più volte, quando ogni sera passava a colloquio con il direttore del giornale (e senza dare neppure un occhio alla prima pagina da pubblicare), l’onorevole Bossi confessava di ritrovare più consonanza rispetto alla sua azione politica con il solido autonomismo di Luigi Sturzo più che con l’architettura di pensiero di Carlo Cattaneo, anche se in pubblico non poteva certo ammetterlo. Apparendo comunque (e non solo sul terreno federalista) insieme attirato e respinto dal mistero della fede cristiana – che disconosceva solo per sé stesso – e dai suoi influssi innegabili sedimentati nella storia e nella società.
Semmai, dal suo bagaglio di letture amplissimo nel corso degli anni e tuttavia affastellato e privo di un ordine gerarchico emergevano in continuazione interrogativi da affrontare e stereotipi da smentire. Così non fu impossibile
far notare la fragilità dell’edificazione padana di una narrazione religiosa alternativa: disseppellire i Celti morti da tempo e privi di tracce visibili era un’impresa sovrumana, soprattutto se i voti andavano cercati tra i vivi. A cominciare proprio da quei cristiani che sul territorio del Nord restavano comunque affezionati a quegli evidentissimi e ineliminabili campanili.
Cristiani con tutte le loro debolezze. E quando partivano le non infrequenti invettive contro le gerarchie ecclesiastiche e i loro traffici di potere, diventava quasi appassionante la sfida a chi più sapeva citare nel passato e nel presente le porcherie commesse da uomini della Chiesa. Lasciando sospesa comunque la domanda ultima: se con tutta quella sporcizia compiuta dai preti, la Chiesa aveva resistito e resisteva vitale da duemila anni, (ben più di ogni altra umana istituzione) allora voleva dire che, nel suo ruolo nel mondo, si manifestava misteriosamente una strana presenza divina.
D’altronde quella era la stagione politica appena successiva all’introduzione dell’euro. E la retorica sui trionfi della moneta unica si accompagnava alla spinta fortissima all’omologazione culturale. passata si e no una manciata d’anni, eppure sembra oggi archeologia ricordare quanto pesante fosse l’influsso a delegare all’Europa non solo la moneta e il protettorato giurisdizionale (a cominciare dal ”mandato di cattura europeo”) ma altresì l’intera cornice del diritto che, per via giuridica, disegnasse un intero e corretto modello di vita per tutte le popolazioni del continente. Dal riconoscimento della ”famiglia trasversale” al diritto dell’adozione per gli omosessuali alle sanzioni per presunte omofobìe e xenofobìe fino alle pratiche indirizzate all’eutanasia, il clima culturale era improntato a una egemonia che criminalizzava ogni dissenso. E qui il vitalismo della Lega, magari rozzo e poco rispettabile, veniva ad alzare un argine popolare e antielitario che aveva un suo peso al di là dei confini e che portava il giornale ad essere il più letto nelle ambasciate e nei consolati stranieri. Colpì allora un’intervista alla ”Padania” di Otto d’Absburgo, erede non solo di una grande civiltà mitteleuropea ma anche esponente di assoluto prestigio del Ppe: la consonanza sui valori antropologici e la resistenza alla cultura dominante ristabiliva un’identità di vedute proprio sulla dimensione fondativa delle radici cristiane.
D’altronde il reticolo del millenario vissuto cristiano conduceva, ben oltre i confini nazionali, a collegamenti storici e culturali più ampi e inattesi, finendo per il Carroccio proprio in quel di Pontida. Certo, ci sono le zolle fangose del ”sacro pratone” dove il partito ormai più vecchio del panorama politico celebra la sua auto identificazione. Ma, da un po’ di tempo, spingendosi più in là: fino alla storica abbazia di San Giacomo, dove avvenne il giuramento dei liberi comuni nel 1167, e che tutt’ora abitata da una fiorente comunità di monaci benedettini cluniacensi, venera da un millennio la sacra reliquia portata dalla lontana Compostela, del braccio combattente di Santiago ”Matamoros”.
In questa temperie il terribile attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001
penetra nel profondo della coscienza collettiva: e mettendo a nudo la fragilità delle opulente società occidentali richiama con straordinaria durezza a interrogarsi sul significato ultimo del proprio vivere associati. Non è soltanto la sfida dell’islam radicale e rivoluzionario a inquietare, quanto piuttosto il bisogno di senso e la natura della propria identità, costretta comunque a rivelarsi di fronte alla minaccia che viene dall’ignoto e dal lontano.
Le risposte relativistiche della logica multiculturale appaiono insoddisfacenti e ingannatrici: e allora il radicamento cristiano si configura come l’unica autentica alternativa, pur se ambiguamente declinato in misura ossessiva sul versante complesso e drammatico dell’immigrazione. Con le sue risposte provocatorie e sopra le righe, la Lega intercetta pressocchè da sola il disagio e il malessere dei ”penultimi”, ovvero i ceti popolari che si incrociano ogni giorno nelle periferie delle metropoli con le realtà più sgradevoli e criminali del disordinato fenomeno immigratorio. Dove cioè non si nota il contributo al lavoro e alla produzione, dove non fiorisce l’incontro tra diversi, ma dove si soffre la sopraffazione, i traffici illeciti, la perdita di sicurezza sociale dovuta alla diffusa microcriminalità. E sulla regolazione dei migranti resta aperto l’unico motivo di conflitto tra la politica della Lega e la linea di accoglienza cristiana della Chiesa universale.
In tutti gli altri ambiti, e in particolare sui valori ”non negoziabili”, la convergenza è ormai naturale, lungo il cammino partito dalla svolta di un decennio fa. I contatti sono diventati frequenti e non più necessariamente riservati. Quei ponti che apparivano impossibili sono di fatto una gettata robusta: semmai, con la brutalità dell’immediato interesse politico, si sono eliminati i ”pontieri”, nell’illusione che, nella loro inquietudine e autonomia intellettuale, siano fastidiosi e non servano più. Ma è anche attraverso quei ponti che valorizzavano l’empirica e sensata ”cultura dal basso” (così omogenea a quella ”Chiesa di popolo” che costituisce la vera eccezione italiana) che si è diffusa quell’abitudine amministrativa al buon senso, che consente oggi al ministro Maroni di proclamare la Lega come l’erede reale di quella ”Dc buona” così importante e positiva per le realtà locali. E di cui le prime uscite dei neo governatori sulla pillola abortiva sono solo la logica conseguenza.
Piuttosto, il nuovo feeling con la Chiesa (non tutta) appare il punto d’arrivo obbligato per un movimento politico che, strutturandosi come ”sindacato del territorio”, incontra per forza il paesaggio sociale dei campanili, dove pesca nuovi consensi. Ma, al culmine della sua parabola, sembra esaurire il serbatoio culturale accumulato in passato. Anche perché manca, al di là dell’esercito di buoni amministratori, il luogo di elezione per sviluppare nel tempo l’elaborazione di pensiero che presiede e precede l’azione politica sui temi qualificanti: ne è prova il lungo silenzio, ad esempio, sulla collocazione internazionale. Sotto la cenere cova, proprio nella Lega, un filone laicista, se non pannelliano, che spesso ha condizionato diverse scelte del movimento. E che qua e là riemerge, toccando lo stesso leader. Basta accorgersi di quanto contiene il ”Barbarossa”, il film di Renzo Martinelli ma con evidente mano bossiana, dove spunti addirittura anticlericali se non paramassonici sono sparsi a piene mani in una distorsione stupidamente antistorica. E dentro queste ambiguità la stessa Chiesa (come sa bene monsignor Fisichella fin dalle antiche interviste alla ”Padania”) ha sagge carte da giocare: cogliendo le opportunità, ma con un salutare distacco.
"L’autore, Giuseppe Baiocchi, cattolico, lombardo, manzoniano, discepolo del grande storico del cattolicesimo Giorgio Rumi e autore di un recente volume sui problemi della bioetica (”Se la vita si rianima”, edito da Ares e scritto con Patrizia Fumagalli, medico della neurorianimazione dell’ospedale di Lecco che ebbe in cura anche Eluana Englaro), è stato direttore del quotidiano della Lega, ”La Padania”, dal 1999 al 2002, per volere di Umberto Bossi" (Sandro Magister). Collabora a Liberal.