Diego Motta, L’Avvenire 8/4/2010 (2 art), 8 aprile 2010
(2 articoli) CAORSO, IL VECCHIO ATOMO E I FANTASMI DEL PASSATO Se c’è un posto da cui occorre partire per comprendere cosa significhi la parola nucleare in Italia, questo è Caorso, un paesino di 5mila anime in provincia di Piacenza
(2 articoli) CAORSO, IL VECCHIO ATOMO E I FANTASMI DEL PASSATO Se c’è un posto da cui occorre partire per comprendere cosa significhi la parola nucleare in Italia, questo è Caorso, un paesino di 5mila anime in provincia di Piacenza. il Comune che ha ospitato per cinque anni, dal 1981 al 1986, il più grande impianto nucleare italiano. Da ventiquattro anni la centrale non funziona più, bloccata dal referendum e dimenticata dai governi della Prima e della Seconda Repubblica. Dal 2007, dopo sette anni di attesa, è ripartita la fase di smantellamento ( il cosiddetto decommissioning) che si concluderà solo nel 2019: sei anni dopo, cioé, l’avvio previsto dei cantieri per il « nuovo atomo » . Avvicinarsi alla centrale è pressoché impossibile, senza incorrere negli scrupolosi controlli della sicurezza. « Vede la torre dimezzata? Quello è il camino. Lo stanno demolendo. Poi toccherà al reattore » racconta un abitante della zona. In realtà non tutto è così semplice, visto che ancora manca la licenza di dismissione della centrale, senza la quale il ritorno « a prato verde » della zona, come dicono i tecnici, è impossibile. « vero, l’abbiamo chiesta per la prima volta nel luglio del 2001 e nessuno ci ha ancora risposto » spiega il sindaco di Caorso, Fabio Callori. Manca questo passaggio e ne mancano altri. « Stiamo ancora aspettando il 70% dei fondi che ci spettano dallo Stato – continua Callori, che è anche presidente della Consulta dell’Anci per i Comuni sede di servitù nucleare ”. A noi devono dare ancora 20 milioni, mentre gli altri siti interessati dal decommissioning ne attendono complessivamente 150 » . Sono le compensazioni per un territorio che, in questi anni, ha pagato dazio per la presenza di questi impianti, attraversando diverse stagioni: quella del « progresso » , con cui l’allora Pci giustificò a Caorso la nascita dell’impianto durante gli anni Settanta; quella del successivo disincanto e del « no » all’atomo (qui in verità meno netto rispetto al resto d’Italia, stando alle percentuali della consultazione dell’ 87); quella, infine, del silenzio e dell’indifferenza che è arrivata più o meno fino a oggi. « Ricordo ancora la grande catena umana che unì in una specie di abbraccio simbolico la centrale di Caorso all’aeroporto militare di San Damiano: 30mila persone, una cosa mai vista da queste parti » . A parlare è Marco Natali, del circolo Legambiente di Piacenza, che a proposito di compensazioni dice subito la sua: « Se non c’è nessun pericolo, come sostengono tutti, allora perché si devono monetizzare i Comuni che ospitano le centrali nucleari? » . Sia chiaro: le risorse pubbliche arrivate in questi anni qui sono servite. Il Comune di Caorso ha potuto tagliare del 50% la tassa dei rifiuti, ha contribuito per la metà delle spese sia all’acquisto dei libri dei ragazzi delle scuole medie sia al pagamento dell’abbonamento dell’autobus, ha garantito soprattutto 500 euro di bonus per ogni nato. « Poi abbiamo asfaltato le strade e investito circa 300mila euro in energia alternativa » aggiunge Callori. Il punto però è un altro e il sindaco lo spiega così: « Un territorio come il nostro va incentivato anche quando la centrale non produce, perché nel frattempo gli effetti sociali dell’abbandono si concretizzano subito: chiudono i negozi, se ne vanno le ditte, la gente del posto non vuole saperne di comprare casa anche se i nostri terreni costano la metà » . Caorso è ben consapevole di dover fare i conti ( ancora) con l’atomo. Nelle scuole si spiega agli studenti come avviene la partenza delle barre d’uranio, mentre la popolazione viene coinvolta in assemblee organizzate dalla Sogin, la società che si occupa del decommissioning, che in Comune ha allestito un apposito info- point sull’impianto. « C’è una generazione e mezzo che non ha vissuto quello che abbiamo vissuto noi – osserva Natali – da loro che dobbiamo ripartire per spiegare cosa sta succedendo. Vuole un esempio? Non è mai stata fatta un’indagine epidemiologica. Perché? » . Nelle prossime settimane dovrebbe partire un monitoraggio condotto dall’Arpa e dall’Asl, però nell’attesa i trasporti delle scorie dalla fabbrica alla stazione proseguono. « Non possiamo nascondere alla popolazione che le barre, ora congelate all’estero, prima o poi ritorneranno » fa notare Callori. Sì, ma dove? « Qui no di certo, abbiamo già dato » ribatte il primo cittadino. l’altra battaglia in cui passato, presente e futuro si intrecciano: quella del deposito unico. Come potremo riaprire il capitolo del nucleare, identificando i tanto ’ temuti’ siti senza prima aver identificato un luogo in cui stoccare definitivamente i rifiuti prodotti dalle centrali vecchie? un paradosso tutto italiano, quello delle fughe in avanti e degli scheletri negli armadi. « Per ora portiamo tutto all’estero e finiamo per dimenticarci che prima o poi dovremo tornare a gestire i rifiuti radioattivi in casa nostra » sottolinea Natali. « Il caso di Scanzano Jonico costituisce un precedente grave – gli fa eco il sindaco – e forse sarà necessario trovare una soluzione alternativa. Però anche su questo servono tempi certi » . Fare un passo alla volta, dunque, piuttosto che frenare o accelerare per nulla: è uno schema che vale anche quando si ascolta un altro ritornello. un tormentone che recita così: e se si ripartisse proprio da Caorso col nucleare? « Sarebbe una scelta inopportuna – risponde il sindaco – tanto più che le condizioni necessarie per fare una centrale sono cambiate nel corso degli anni » . Ne sono passati ventiquattro dalla chiusura, ma il tempo qui sembra essersi fermato. MA I TRASPORTI DELLE BARRE D’URANIO SONO QUASI FINITI LE SCORIE- D opo la stagione dei misteri, c’è voglia di trasparenza. un sentimento ancora contraddittorio quello che la popolazione di Caorso nutre nei confronti della vecchia centrale. Da un lato in molti comprendono il vincolo di riservatezza su quanto accade all’interno dell’impianto, visti i potenziali rischi presenti (non ultimo quello di attentati), dall’altro il bisogno di informazione sta diventando un’esigenza sempre più sentita dalla comunità. A maggio si concluderà l’operazione di allontanamento del combustibile da Caorso e si potrà fare un primo bilancio sugli umori del territorio. Nel frattempo, in due anni sono stati compiuti 14 trasporti di barre d’uranio sui 16 previsti. Un’accelerazione mai vista nei vent’anni precedenti. Lo smantellamento verrà completato nel 2019. Ma quanto ci è costato in questo periodo tenere «congelata» la centrale di Caorso? Su questo punto, le stime sono discordanti: per Sogin verranno spesi in tutto 217,5 milioni di euro in 20 anni. In pratica: ogni giorno, le operazioni di decommissioning per il solo impianto piacentino costano in media ai contribuenti circa 25mila euro. Se si considerano però le spese per il mantenimento in sicurezza dell’area, tra cui il condizionamento dei r ifiuti in loco, e le spese per il personale, il costo complessivo sale a 560 milioni di euro. Molto più alto resta l’impatto sulle finanze pubbliche nelle valutazioni della Regione Emilia Romagna: 750 milioni di euro, secondo quanto dichiarato recentemente dal governatore Vasco Errani, frutto della somma delle operazioni di messa in sicurezza della centrale (300 milioni contro i 217,5 indicati dalla Sogin) e del trasporto delle barre d’uranio in Francia per il riprocessamento (450 milioni). Ne deriva un peso sulle finanze degli italiani pari a oltre tre volte quello dichiarato dalla società che sta seguendo lo smantellamento: circa 75 mila euro. Quanto agli interventi concreti, i più recenti riguardano la demolizione del camino della centrale e delle strutture metalliche. Col trasferimento in corso del combustibile si ridurrà di oltre il 99% la radioattività presente. «Dentro è già tutto decontaminato – spiega un tecnico – e l’obiettivo finale resta quello di rimuovere tutti i vincoli radiologici». Dati disponibili, questi, sul sito www.sogin.it, all’interno di un’operazione «trasparenza» che i vertici della società controllata dallo Stato stanno mettendo in atto nei confronti di chi li accusa invece di «militarizzare la struttura, con l’obiettivo di non far sapere più nulla». Nel solo 2008 sono stati effettuati a questo scopo oltre 27mila controlli per garantire lavoratori, cittadini e ambiente, con tanto di opuscoli inviati alle famiglie di Caorso sulle attività che si stanno facendo. L’ultima coda polemica ha riguardato l’affidamento di alcuni appalti a una società in odore di criminalità. Nel mirino c’era la società Ecoge, dei fratelli Mamone, che secondo la Direzione investigativa antimafia sono organici alla ”ndrangheta. «Ecoge è risultata vincitrice di una gara d’appalto per l’acquisto di rottami metallici – ha risposto Sogin con una nota ”. L’impresa ha ritirato solo una parte del materiale previsto e nel gennaio 2009 Sogin ha contestato l’inadempienza della società nei pagamenti e nel rispetto delle scadenze temporali. Nel febbraio 2009 Ecoge ha accettato di chiudere il rapporto contrattuale. Altri contratti non sono mai stati e non sono in essere». Diego Motta, L’Avvenire 8/4/2010