Irene Alison, Il Sole-24 Ore 7/4/2010;, 7 aprile 2010
MEZZO SECOLO DI SCATTI MA HO APPENA INIZIATO
Il mondo in bianco e nero di Mimmo Jodice, maestro della fotografia italiana nato a Napoli 75 anni fa, è in mostra al Palazzo delle esposizioni di Roma da venerdì prossimo 9 aprile, fino all’11 luglio. Dalle sperimentazioni degli anni 60 fino al mare, oggetto di ispirazione degli scatti più recenti, l’esposizione antologica celebra mezzo secolo trascorso dietro l’obbiettivo da parte di questo fotografo capace di guardare oltre la realtà.
C’è ancora qualcosa che vorrebbe fotografare?
Sento di aver mosso appena i primi passi rispetto a ciò che voglio fare come fotografo. Ho ancora in mente un’infinità di progetti: non sono certo di avere il tempo di realizzarli, ma la voglia sì. Di sicuro, la sfida maggiore che mi pongo per il futuro è fotografare il vuoto, inteso come spazio svuotato che conserva la memoria di ciò che lo ha attraversato.
La fotografia serve ancora a documentare il mondo in cui viviamo?
Sì, continua a essere lo specchio della realtà. Io ho scelto di non utilizzarne le po-tenzialità dirette, documentarie, e di muovermi su territori più astratti. Tuttavia, credo che la fotografia resti una testimonianza formidabile degli eventi e conservi un ruolo insostituibile di conoscenza, per certi aspetti superiore a quello del video: ci si può sforzare di raccontare il mondo usando altri linguaggi, ma niente sarà mai efficace come un’immagine.
Con la sua macchina ha catturato la poesia delle architetture urbane. Quale città per lei rappresenta meglio la contemporaneità?
Ho fotografato moltissime città, e ognuna ha caratteristiche diverse, potenzialità simboliche che lo sguardo del fotografo può portare alla luce a seconda della propria indole. Alcuni si rispecchiano negli spazi urbani convulsi e frenetici, altri nelle architetture più rigorose. Io, napoletano per nascita e per scelta, non posso che restare affascinato dalla sorprendente fotogenia di Napoli, dal suo potere evocativo, dalla moltitudine dei suoi strati. una città che contiene mondi infiniti, e la sua complessità continua a sorprendermi.
Perché non fotografa uomini?
Perché la contingenza non mi riguarda. Nei miei scatti mancano non solo le persone, ma anche le automobili, i cartelloni pubblicitari: qualsiasi elemento della quotidianità che serva a datare le immagini. Cerco di operare un ribaltamento per mettere in scacco la realtà, decontestualizzando quello che ritraggo. Una mia foto potrebbe essere stata fatta cinquant’anni fa o tra cinquant’anni. una atemporalità che perseguo coscientemente: mi interessa solo quello che resta.
Tra i più giovani, chi potrebbe essere un suo «erede»?
Non cerco eredi. Come fotografo, mi muovo fuori dai confini del reale, sono sempre altrove. E non credo che qualcuno mi segua, in questo cammino.