MARINELLA VENEGONI, La Stampa 7/4/2010, pagina 41, 7 aprile 2010
VASCO, QUESTIONE DI COVER
E’ come una pattuglia in formazione, in un rituale dal quale sei escluso, il gruppetto tutto in nero che avanza compatto nelle viscere deserte del Palaisozaki, quando le nove di sera sono suonate da un pezzo. I passi rimbombano. Marciano spediti verso il palco, saranno una cinquantina: in testa il bassista Claudio Golinelli, subito dopo il batterista americano Matt Laug, di fianco Maurizio Solieri chitarrista con la sua capigliatura di onde selvagge; fra loro volti sconosciuti, di addetti alla sopravvivenza della band. E’ un rituale per soli uomini, che ha come unica vestale la fiera corista Clara Moroni. Poi vedi Roccia, smagritissimo, la sua body-guard, e subito dopo non può che esserci lui. Vasco Rossi marcia pure lui, la faccia assorta e tesa. La truppa va verso il palco, sale, e noi che ci passiamo sotto, evitando di finire fra i muscoli dei nerboruti addetti alla sicurezza, riusciamo a scorgere i volti dei ragazzi delle prime file che saranno lì da quattro ore, e che attaccano con Vasco la prima canzone Ho fatto un sogno: «Ho visto qualcuno che andava in giro col bicchiere in mano/E risolveva tutti i problemi/con dei calci alle illusioni». Sorrisi, segni di approvazione, occhi brillanti. Un festoso riconoscimento reciproco di travagli esistenziali.
E’ la storia della sua vita e dei suoi pensieri, quella che Vasco Rossi va cantando sui palchi di tutta Italia dall’ottobre scorso, quando dopo 16 anni di stadi ha debuttato a Pesaro in spazi chiusi. Saranno otto date d’aprile, a Torino: due la settimana, esaurite, con un ritmo che rispetta i suoi tempi, e la fatica di un anno intero on the road per quelle che alla fine saranno più di 80 mila persone. Si affranca così, dice Vasco scherzando, «dal fatto che ogni inverno arrivano le cover band a cantare le mie canzoni, mentre io sto a casa ad annoiarmi».
Massimo rispetto per le cover band, segno irresistibile di un successo consolidato. Ma certo qui al Palaisozaki (e dovunque) ieri sera è stata un’altra cosa. Semplicemente, l’originale. Con i suoni rutilanti della band che marcia in automatico, con un campionario di titoli che chiamano i cori collettivi, con un’autentica partecipazione intergenerazionale e interclassista che, una volta di più, fa capire il radicamento affettivo del Vate di Zocca nel nostro Paese. Come un signore di 58 anni possa essere al vertice dei pensieri di molti ventenni, come stadi virtuali possano continuare ad essere riempiti seppure diluiti in pastiglie di palasport e arene, è un mistero che i più snobbettoni preferiscono trascurare: mentre in realtà si capirebbe qualcosa di più dei giovani italiani, se ci lavorassimo sopra.
E se una parte del segreto è certo nel ritmo indiavolato delle serate, con segmenti di rock decisamente duro, non ci si può fermare qui: bisogna considerare pure la complessità di una storia, l’eccezionalità di un percorso esistenziale che si è dipanato sotto l’occhio del pubblico, dalle avventure di un DJ di provincia un po’ sballato, alla caduta negli anni Ottanta, fino alla resurrezione a colpi di hit disseminati nei decenni, con pezzi sempre più pensosi, e spazi sempre più di mistero fra un disco e l’altro.
Presi dal complesso del fan, in molti non avranno neanche fatto caso al fatto che Vasco in questa tornata di concerti va cantando l’intera storia della sua vita artistica, a partire da La nostra relazione, ballad del lontano 1978 («il primo che ho inciso» ricorda lui») nel quale parla di una relazione abitudinaria («Non è per niente amore/e non è forse neanche sesso/ci limitiamo a vivere/dentro nello stesso letto») ancora assai lontana dalla vita spericolata che sarebbe poi arrivata: basta andare a pescare qualche mezz’ora più avanti Hai ragione tu, pezzo del ”93 dove i concetti sono assai più spicci: «Toglimi di dosso/quelle mani che mi dai/Sono già depresso/E lo so perfino che hai ragione tu...». E via via così, fino alla sorprendente fase acustica nella quale per la prima volta appare con la chitarra, intonando Sally e Dillo alla luna che rivelano una loro delicata struttura intimista.