Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 07 Mercoledì calendario

PERCHE’ I TOPI CI OSSESSIONANO?

Si riproducono più facilmente, trovano sempre più cibo e spesso riescono a resistere persino ai veleni di ultima generazione: signori, il super-ratto è servito. Lo dice anche l’etologo Danilo Mainardi, che punta l’indice soprattutto sull’abbondanza di rifiuti, condizione primaria per moltiplicare gli eserciti di roditori, piaga ormai sempre più grave nelle grandi città.
E pensare che il topo non è un animale soltanto denigrato: come l’orso, compagno di culla dei nostri bambini nella versione peluche, anche il topo ha una «letteratura» a volte favorevole, che lo rende animale piuttosto ambivalente. Abbiamo davanti agli occhi le scene di Nosferatu e della peste nel film di Herzog (con la terribile invasione dei topi), ma anche le piacevolezze di Walt Disney e del più recente e pluripremiato «Ratatouille» (Oscar come miglior film di animazione nel 2007), storia di un topo buongustaio che oltretutto non indulge nella grafica e nella sceneggiatura ai soliti melensi cliché sugli animali.
Mainardi, come si passa da Topolino all’aborrito topo di fogna?
«Attraverso l’infantilizzazione che venne operata da Walt Disney, uno che se ne intendeva. Topolino è stato ”costruito’ piano piano per essere simpatico. Infatti non è un vero topo, si comporta da uomo».
Il primo Mickey Mouse era nervosetto...
«Appunto, all’inizio era piuttosto antipatico, faceva i dispetti, vestiva braghette corte, aveva le gambette sottili e il muso molto appuntito. Non aveva i tratti antropomorfi che acquistò in seguito».
Come cambiò?
«E’ un processo molto interessante, avvenne un po’ alla volta: accentuarono in lui l’infantilismo, facendogli ad esempio occhi più grandi – inequivocabile segnale infantile – e accorciandogli il muso, che divenne più paffuto».
Walt Disney fece tutto da solo?
«No, lavorò con una squadra di grafici: esistono studi che mostrano le loro accurate ricerche e l’evoluzione del topolino».
Conoscevano i celebri studi di Lorenz, che studiò i «segnali infantili» comuni alle specie umana e animale?
«No, penso proprio di no. Quella di Lorenz è una storia parallela: lui alla fine degli Anni 40 e 50 descrisse per primo la particolare configurazione complessiva del volto dei bambini e dei cuccioli, che suscita negli adulti atteggiamenti affettivi. In teoria Walt Disney poteva conoscerli, ma non credo. Loro si basavano soltanto sulle reazioni degli spettatori: semplicemente vedevano che il topolino diventava sempre più simpatico man mano che assomigliava a un bambino».
E’ una costante, per i «personaggi animali» che devono commuovere.
«Infatti Gambadilegno ha le orecchie a punta, mentre i cuccioli del lupo sono più simpatici di lui: hanno il muso accorciato, sono più paffuti e non hanno le orecchie all’insù. Walt Disney ha giocato molto con infantilismo e con i cuccioli: con Bambi, ad esempio».
Il ratto reale, però, è un po’ diverso da Topolino,
«Eccome, è un nemico difficile, intelligente, sociale, opportunista. Si adatta, facilmente, è un animale che non è mai stato molto popolare. Infatti, quando c’è una disinfestazione, la chiamano senza tanti scrupoli ”derattizzazione”, mentre se devono intervenire ad esempio sui colombi parlano di ”specie problematiche”, un eufemismo. Sono molto cauti dal punto di vista della comunicazione. Pensare che i colombi stanno diventando un problema altrettanto serio... D’altra parte colombi e ratti vanno di pari passo».
Ovvero?
«C’entrano molto con il fatto che ci sono moltissime risorse nelle città. Ai colombi tanti danno da mangiare, i ratti il cibo se lo vanno a trovare nei cassonetti. In realtà non si può dire che ci siano troppi ratti e troppi colombi, ma che ci sono esattamente quelli che la città è in grado di mantenere. Sono i cittadini che lasciano loro le risorse».
Cioè, ci sono tanti ratti perché ci sono troppe risorse.
«Esattamente, e sconfiggerli è praticamente impossibile. Si possono fare semplicemente delle selezioni, così avremo animali più intelligenti e resistenti. La vera possibilità di eliminarli o quanto meno di controllarli è limitare le risorse a loro disposizione. Anche i predatori sono un’arma spuntata: i gatti ormai sono abitanti fissi dei condomini, non vanno più a caccia. Per cacciare un grosso topo ci vuole bel gatto cacciatore, uno di quelli bravi».