Cesare Peruzzi, Il Sole-24 Ore 6/4/2010;, 6 aprile 2010
IN TOSCANA LA MODA PARLA CINESE
cinese quasi la metà delle imprese che costituiscono il polo toscano della moda, a cavallo delle province di Firenze, Prato e Pistoia, il più grande d’Italia e uno dei principali d’Europa. Il fenomeno dell’insediamento di aziende orientali, partito con forza una decina d’anni fa, è cresciuto e si è sviluppato in maniera sistematica ( occupando spazi di mercato sempre più importanti) fuori da ogni controllo, fino a esprimere numeri assoluti elevati e percentuali ancora più impressionanti, per effetto della crisi che a partire dal 2008 ha colpito quasi esclusivamente il versante italiano della produzione (-30% il calo medio del fatturato).
Oggi,nell’areaci sono 14.600 imprese attive nei settori tessile, abbigliamento e pelletteria (escluso il calzaturiero), con 9 miliardi di ricavi e 60mila posti di lavoro ufficiali. Di queste aziende, 6.500 hanno il titolare cinese (44,5% in base ai dati di Unioncamere al 31 dicembre scorso), con 10mila posti di lavoro regolari e almeno 30mila non dichiarati. Considerando le sole ditte individuali, l’incidenza cinese sale al 58,6%, con una forte connotazione manifatturiera nel campo dell’abbigliamento in provincia di Prato e nel comparto della pelletteria nell’area fiorentina.
Accanto al problema dell’illegalità, diffusa e contagiosa come hanno confermato le ultime indagini di polizia, l’altro nodo è rappresentato dalla possibilità o meno d’integrare le due anime della filiera: quella straniera e quella italiana.
Qualcuno crede che sia l’unica strada percorribile, per scongiurare il rischio di tensioni sociali e provare a innescare un nuovo ciclo di sviluppo. Fin qui gli imprenditori italiani si sono divisi tra coloro ( la maggior parte) che vedono come un pericolo, e comunque come un’ingiustizia intollerabile, la concorrenza sleale dei cinesi, e quanti invece sono riusciti a trovare modalità di lavoro corrette anche con le aziende asiatiche.
Ma è davvero possibile far emergere circa 2 miliardi di ricavi in nero? E mettere in connessione distretti che, di fatto, sono soltanto paralleli come nel caso di Prato?
Due sono i progetti in cantiere in questo momento. Il primo riguarda proprio la città del tessile ed è portato avanti dal sindaco Roberto Cenni. Il secondo è stato annunciato dalla Gucci insieme a Confindustria Firenze, Cna e confederazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil, con l’obiettivo di rendere "etica" la filiera della pelletteria. Ma siamo ai primi passi.
«Ho avviato contatti a livello internazionale per verificare l’interesse di catene distributive importanti – spiega Cenni ”.L’idea è quella di riposizionare il prodotto di Prato, collegando aziende tessili e di abbigliamento, in modo da poter offrire un contenuto moda e una rapidità vincenti. Aspetto risposte concrete entro maggio – aggiunge ”. A quel punto valuteremo se sarà possibile passare alla realizzazione di un progetto vero e proprio».
I potenziali committenti sono catene retail come Zara, Mango o H&M, oltre ai grandi magazzini che potrebbero utilizzare Prato per il private label.
«Una cosa è certa – dice il sindaco, che è anche imprenditore del settore (gruppo Sasch) – l’attuale produzione dei cinesi andrebbe riqualificata e la premessa è la completa emersione e il rispetto delle regole. Certo che combinare la qualità italiana con la velocità cinese costituirebbe una carta vincente per il nostro distretto, qualcosa in grado di far ripartire l’economia.Ecco perché,nonostante tutto, sono ottimista».
Più prudente, ma possibilista, il presidente degli industriali pratesi, Riccardo Marini: «Dobbiamo provare a cercare una forma d’integrazione che funzioni e soprattutto che porti sul terreno della legalità il distretto cinese ”dice ”.In caso contrario, rischiamo di assistere alla cinesizzazione delle imprese italiane».
Aldo Milone, assessore cittadino alla sicurezza è d’accordo: «La battaglia è dura, ma non ci sono alternative – commenta ”. Ormai procediamo a controlli quotidiani sul territorio e con l’arrivo dei nuovi uomini mandati dal ministero dell’Interno puntiamo a intensificare l’attività di repressione».
Il patto per l’eticità della filiera produttiva siglato nei mesi scorsi dal presidente e amministratore delegato del gruppo Gucci, Patrizio di Marco (si veda il Sole 24 Ore del 17 settembre scorso), punta a garantire gli standard della responsabilità sociale nel comparto della pelletteria.
« stato costituito un tavolo tecnico che sta valutando tutti gli aspetti, dai costi alle regole di comportamento – spiega Luigi Nenci, direttore della Cna fiorentina ”. Ai primi di maggio il patto diventerà operativo. A quel punto, chi non si comporterà in modo corretto verrà espulso dalla filiera produttiva». Un messaggio, anche in questo caso, rivolto soprattutto alle imprese cinesi del settore.