MARIO BAUDINO, La Stampa 6/4/2010, pagina 33, 6 aprile 2010
QUEL CHE CONTA E’ RICORDARSI DI DIMENTICARE
Ogni giorno la grande biblioteca on line Archive.org registra testi, video, filmati, audio e software, insomma tracce di memoria, che superano in quantità tutto quel che è stato immagazzinato nell’intera storia dell’uomo. O almeno, così dicono, ma è probabile che sia vero. Nello stesso tempo le nostre città producono una mole di rifiuti tale per cui, secondo i calcoli dell’agenzia europea per l’ambiente, se entro il 2020 volessimo spargere sul suolo tutti quelli dell’Ue (340 milioni di tonnellate) copriremmo la superficie del Lussemburgo con uno spessore di 30 centimetri, oppure quella di Malta con due metri e mezzo. Le montagne di pattumiera racconteranno per secoli la nostra storia.
Potranno forse spiegare come il presente sembri irrimediabilmente strozzato fra una enorme quantità di tracce «immateriali», tendenzialmente destinate a perdersi, e un’altrettanto smisurata invasione di rifiuti materiali che stanno in qualche modo ostruendo il futuro. A questi temi la fondazione Telecom Italia dedica un convegno (al Politecnico giovedì e venerdì prossimi), con studiosi internazionali di tutto quel ventaglio di discipline che ruotano intorno ai temi della memoria. Che può diventare essa stessa un «rifiuto», come spiega Pierluigi Musarò, docente a Forlì e studioso di quella scienza che viene definita «garbology», e studia appunto i rifiuti.
La domanda è: con quali fonti si farà la storia del nostro presente fra cinquant’anni? Solo con i nostri rifiuti? La risposta non è oziosa. Si tratta di cominciare, come spiega Chiara Ottaviano, curatrice dell’Archivio storico Telecom Italia, a «fissare un punto di osservazione» sulla proliferazione di archivi che segna questo momento di passaggio: «Da un mondo fatto di memorie oggettuali concrete a uno fatte di memorie che vengono create e distrutte in continuazione». E’ il mondo del Web 2.0, dove, come spiega il segretario generale della Fondazione, Fabio Di Spirito, si pone il problema di che cosa conservare, e come, per esempio nel ricchissimo archivio storico Telecom Italia: lo stesso convegno è parte di un progetto per la sua valorizzazione. Ma è ovvio che in prima istanza si guardi al macrocosmo, alla prospettiva planetaria.
Conservare tutto, anche nel mondo del Web 2.0, è impossibile. Una memoria totale ci sommergerebbe proprio come stanno facendo i rifiuti. Dimenticare è importante come ricordare. Eppure col proliferare dell’informazione è come se l’imperativo fosse sempre più quello di non dimenticare nulla. Ma in parallelo con il senso di oppressione per l’enorme quantità di informazioni, è però largamente condivisa, come dice ancora la professoressa Ottaviano, una diffusa sensazione di perdita.
La contraddizione è solo apparente. Mentre sul piano della coscienza diffusa sembra cadere l’attenzione per la storia, si fa sempre più viva quella per la memoria, soprattutto locale, magari privatissima. Di che memoria si tratta, alla fine? Il sociologo Paolo Jedlovski (che studia in particolare il tema di quella collettiva) chiarisce che il problema esiste da sempre, nella storia umana. Ma la società moderna lo ha reso particolarmente importante. «Oggi il vero nodo è quello di salvare la pluralità delle interpretazioni e anche la conoscenza», perché più una società è complessa, più crea immagini del passato alternative fra loro. «L’imperativo è distinguere i fatti dalle interpretazioni, per quanto è possibile»; ma è indubbio che la nostra stessa conoscenza del passato è assai ricca di «fatti bruti» costruiti a posteriori, come accade per esempio nelle tradizioni religiose.
«C’è però una differenza: un tempo si costruiva il passato, si inventavano appunto, per usare la terminologia dello storico scozzese Eric Hobsbawm, le tradizioni. La possibilità di farlo dipendeva in buon parte dall’assenza di documentazione». Oggi tutti possono «scavare», se lo desiderano. «Il problema è semmai l’eccedenza», anche se è un’eccedenza strana. Prendiamo, ovviamente, il caso della posta elettronica, che ha sostituito le lettere scritte su carta. «La tendenza sembra quella di una scarsa propensione a conservare le tracce on-line», spiega lo studioso. I dialoghi via e-mail o attraverso i social network «sono forme di conversazione che somigliano più a conversazioni orali» e come tali tendono a svanire molto presto.
Tra accumulo vertiginoso e perdita rapidissima, che cosa resterà allora di noi alle generazioni future, sempre ammesso che siano ancora interessate alla storiografia? «Tutte le tecnologie della conservazione sono in movimento. In realtà non sappiamo bene che cosa succederà». Viene alla mente un passo di Cees Nooteboom, il grande scrittore olandese. In uno dei suoi libri più lodati dalla critica, Rituali (tradotto in Italia per Iperborea) a un certo punto parla proprio di questo. Così, per inciso. Quasi distrattamente. «La memoria - scrive - è come un cane, che si accuccia dove vuole».