Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 06/04/2010, 6 aprile 2010
LA CLASS ACTION NEGLI USA AVVOCATI ALL’ARREMBAGGIO
In una risposta sul Corriere del 1º aprile lei critica la spregiudicatezza degli avvocati americani in fatto di compensi. Ma che dire allora di quello che mi è capitato personalmente: per una «quota lite» di poco più di 10 mila euro, una parcella di poco più di 20 mila. Altro che spregiudicatezza.
Mario Cossu
mariocossu5@tiscali.it Leggo nella sua risposta a un lettore: «Vi è il mercato degli indennizzi alimentato dalla spregiudicatezza dei Paesi in cui gli avvocati possono accordarsi coi clienti per una spartizione degli utili». Le segnalo che, grazie a una presunta liberalizzazione di Bersani, il nostro Paese è uno di quelli. Recentemente ho visto il manifesto di uno studio legale che si pubblicizzava offrendo addirittura, a quei clienti le cui ragioni fossero ben fondate, un anticipo sulla futura liquidazione del danno. Il che manifesta un evidente svilimento della professione forense. Noi avvocati abbiamo sempre ritenuto il «patto di quota lite» (si chiama così) una cosa molto disdicevole. Mi chiedo che cosa c’entrino le liberalizzazioni e perché dobbiamo imitare il peggio degli altri, come se non bastasse quello nostrano.
Fabrizio Perrone Capano fabrizio.perronecapano@fastwebnet.it Cari lettori,
L e vostre lettere sollevano la questione del ruolo degli avvocati nel grande mercato degli indennizzi che fiorisce da parecchi anni negli Stati Uniti e comincia a dare segni di vivacità anche da questa parte dell’Atlantico. Il problema è strettamente collegato alla class action, una forma di azione collettiva recentemente approvata anche in Italia che permette a un gruppo di cittadini di unirsi per chiamare in giudizio un’azienda o un ufficio pubblico generalmente per danni provocati alla loro salute.
Per molto tempo, grazie ad alcuni film di successo, la class action è parsa a molti una straordinaria conquista civile, un esempio di creatività legale che tutti i Paesi occidentali avrebbero dovuto rapidamente imitare. La realtà, apparentemente, è alquanto diversa. Secondo Lisa Rickard, presidente di un istituto di studi legali affiliato alla Camera di Commercio degli Stati Uniti, la class action avrebbe provocato una straordinaria crescita delle spese legali americane (oggi circa 255 miliardi di dollari all’anno) e avrebbe distribuito ai clienti degli avvocati benefici modesti, se non addirittura irrilevanti. Gli accordi di spartizione prevedono a quanto pare che ai clienti vada soltanto il 50% della somma decisa dal tribunale, ma vi sarebbero state cause in cui gli avvocati avrebbero stipulato un compromesso da cui i clienti, a differenza degli studi legali, non avrebbero tratto alcun vantaggio. Spero che la legge italiana sulla classe action abbia tenuto conto di questi rischi. Ma aggiungo che in un articolo del Wall Street Journal del 20 marzo, Lisa Rickard annuncia ai cittadini britannici e più generalmente europei lo sbarco sulle sponde dell’Ue di una flottiglia composta da un numero considerevole di studi legali americani, decisi a trapiantare in Europa le loro aggressive pratiche legali. Confesso, caro Perrone Capano, di avere creduto nella liberalizzazione degli Ordini professionali e in particolare di quello degli avvocati. Continuo a pensare che siano invecchiati e debbano essere riformati. Ma con prudenza. E mi auguro che il progetto del ministro Alfano, preannunciato oggi sul Corriere, vada in questa direzione.
Sergio Romano