Giovanni Caprara, Corriere della Sera 06/04/2010, 6 aprile 2010
QUELLA POCO SCIENTIFICA MANIA DI TROVARE «ANELLI MANCANTI»
Con la scoperta dei resti fossili di un bimbo di due milioni di anni fa in una grotta del Sudafrica è riemersa la definizione di «anello mancante» tra l’uomo ed i suoi antenati non umani. Rende bene il significato di qualcosa che mancava nelle sequenze della storia ma i paleoantropologi imbizzarriscono quando la sentono evocare e la usano semmai tra virgolette. Non l’accettano, ed hanno ragione perché è frutto di una semplificazione che altera il senso dell’evoluzione.
Tuttavia, anche se viene molto usata nella stampa di ogni genere, l’espressione è uscita dalla bocca di uno scienziato e pronunciata ancora nelle prime epoche del dibattito darwiniano. il matematico e geologo britannico William Hopkins a citare il missing link in un suo saggio del 1860 in cui criticava le idee del connazionale Charles Darwin e dove definiva l’uomo l’ultimo anello della catena. Da allora la storia dell’evoluzione è stata una caccia continua all’anello mancante che ovviamente continua e proseguirà senza soste perché l’albero della vita, grazie alla ricerca, offre ramificazioni sempre più folte e complesse che inevitabilmente portano ad aumentare il numero degli «anelli».
La storia evolutiva non procede semplicisticamente in una linea retta come la possiamo immaginare, con dei vuoti da colmare tra inferiori e superiori perché non si è trovato il fossile adeguato. Il puzzle è molto più difficile, le generazioni si sviluppano su tempi e luoghi che talvolta si sovrappongono e quindi diventa arduo attribuire la giusta paternità: tutto è più articolato. Darwin, per primo, non parlava mai di anelli mancanti. Gli antropologi preferiscono «forme di transizione», cioè un’espressione che racconta più modestamente di un tassello della variegata espressione biologica sulla Terra.
Forse la popolarità dell’anello mancante deriva però più dai casi in cui si è tentato di fabbricare prove false a fini di lucro. Come l’uomo di Piltdown «scoperto» in Inghilterra nel 1912 oppure l’Archaeoraptor «trovato» in Cina nel 1999. Ma erano scandali, non scienza.
Giovanni Caprara