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 2010  aprile 04 Domenica calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

17 novembre 1878
L’amaro lucano
I Reali sono in visita a Napoli. La loro carrozza, nella quale siede anche il presidente del consiglio Cairoli, procede lentamente in mezzo alla bolgia. Al largo della Carriera Grande un giovane male in arnese balza sul predellino. Dal suo fazzoletto rosso, su cui ha inciso le parole «Morte al Re, viva la Repubblica universale!», sbuca un coltellino di 8 centimetri. È con quell’arma, perfetta per sbucciare le mele, che il cuoco lucano Giovanni Passanante colpisce Umberto I a un braccio. «Cairoli, salvi il Re!» urla Margherita, lanciando un mazzo di fiori addosso all’aggressore. Cairoli, vecchio garibaldino, afferra Passanante per i capelli e rimedia una pugnalata alla coscia destra, mentre il capitano dei corazzieri atterra il cuoco con una sciabolata. L’episodio è minimo, l’eco enorme. Il giorno dopo a Firenze, durante un corteo di ringraziamento per lo scampato pericolo, scoppia un ordigno che uccide quattro persone, fra cui una ragazzina. I giornali strillano al complotto e indicano negli anarchici i «terroristi» da stroncare. Passanante viene torturato con ferri roventi affinché sveli un piano che non c’è. La madre e i fratelli sono internati in manicomio. Solo un giovane poeta romagnolo declama in pubblico un’ode in suo onore («Con la berretta del cuoco faremo una bandiera») e finisce in carcere. Si chiama Giovanni Pascoli.
Nonostante il comportamento eroico di Cairoli, il governo è travolto. La Destra, per bocca dell’onorevole Bonghi - grande amico di Manzoni - reclama limitazioni alla libertà di stampa e di insegnamento nelle scuole. A lui replica il ministro dell’Istruzione, Francesco De Sanctis, con uno dei discorsi più belli di tutta la storia parlamentare: «Quando la reazione ci viene a far visita non dice Io sono la reazione. Tutte le reazioni sono venute con questo linguaggio: che è necessaria la vera libertà, che bisogna ricostituire l’ordine morale». Parole nobili. E inutili: il ministero Cairoli cade. L’unico a mantenere un distacco ironico è Umberto, che a cena raccomanda ai suoi commensali di non far aspettare i cuochi: «Avete visto di cosa sono capaci». Passanante, riconosciuto sano di mente, è condannato a morte e poi ai lavori forzati a vita. Sepolto in un buco a Portoferraio, con una catena di 18 chili a straziargli l’esile corpo, impazzisce effettivamente. Non avrà pace neppure dopo la morte: la sua testa sarà decapitata e analizzata per studiare la «tendenza all’anarchia», che Lombroso individua in una fossetta dietro l’osso occipitale. Solo nel 2007 i resti del cuoco troveranno riposo nel cimitero lucano di Salvia, che per «sfuggire il disonore» di avergli dato i natali aveva dovuto cambiare nome in Savoia.