Francesco Bonami, Il Riformista 30/3/2010, 30 marzo 2010
VITRUVIO AL TEMPO DI FACEBOOK
Il duo di architetti giapponesi di Kazuo Sejima e Ryue Nishizawa il cui studio va sotto il nome di Sanaa hanno vinto quello che viene considerato il Nobel per l’architettura il Pritzker Prize. Non tanti soldi, 100 mila, ma una reputazione assoluta, che è quello che conta. Il premio fu concepito a Chicago nel 1978 da Jay e Cindy Pritzker, convinti che un premio importante avrebbe incoraggiato e stimolato non solo una maggiore attenzione della gente per gli edifici dai quali è circondata, dove lavora, vive e si diverte, ma anche avrebbe ispirato una maggiore creatività all’interno della professione dell’architetto. La famiglia Pritzker è conosciuta per essere la proprietaria della catena di alberghi di lusso Hyatt.
La cosa divertente è che i loro alberghi hanno sempre architetture abbastanza schifose. Ma una cosa è il business una cosa la cultura. Infatti nessuno della famiglia Pritzker mette il becco su quale architetto debba vincere il premio che va con il loro nome. Nessuna pastetta. Convinti i signori Pritzker che la propria immagine ne guadagna di più ad essere affiancata al nome di un vero grande architetto che a quello dell’amico che gli ha costruito la villa di campagna o magari dell’amico del sindaco di Chicago o di Barack Obama. Cosi nella giuria non ci vuole stare a tutti i costi uno della famiglia degli albergatori, ma ogni anno viene formata con nomi al di sopra di ogni marchetta. In giuria non si trovano nemmeno uomini politici locali o nazionali. Quest’anno chi decideva sul premio erano: come presidente Lord Palumbo già presidente del cda del museo Tate di Londra, Alejandro Aravena, architetto cileno, Rolf Fehlbaum, presidente del Vitra museum di Basilea, Carlos Jimenez, professore alla Rice University di Houston, Juhani Pallasmaa, architetto finlandese, il nostro Renzo Piano, Karen Stein critico di architettura di New York e Martha Thorne, preside della scuola di architettura di Madrid IE, con la funzione di direttore esecutivo del premio.
Ogni anno l’onorificienza viene data in una città diversa. Quest’anno il 17 maggio Kazuo Sejima e Ryue Nishizawa riceveranno medaglia e assegno nella grande hall dell’edificio principale dello storico centro d’immigrazione, oggi un museo, di Ellis Island, davanti a Manhattan, dove fra 1892 e il 1954 passarono 12 milioni d’immigranti che volevano entrare negli Stati Uniti. Come se i Leoni della Biennale di Architettura di quest’anno, della quale Kazuo Sejima è la prima direttrice donna, fossero dati a Lampedusa nel centro accoglienza dei poveri naufraghi africani. Sarebbe bello. La scelta di un luogo così simbolico è però importante per il Pritzker che pur vivendo di globalizzazione vuole sottolineare come una grande nazione non si costruisce chiudendola ma aprendola al mondo. L’architettura è d’altronde il simbolo del concetto di spazio transitivo dal quale si entra, si sta e si esce.
Forse non è un caso che il titolo della Biennale di Kazuo Sejima sia People meet in architecture ossia la gente s’incontra nell’architettura. Un bellissimo e semplice concetto che coincide proprio con lo spirito di Jay e Cindy Pritzker che praticamente coincide con il progetto di Sejima per Biennale che afferma: «L’idea è di aiutare gli individui e la società a relazionarsi con l’architettura, aiutare l’architettura a relazionarsi con gli individui e la società, e aiutare gli individui e la società a relazionarsi tra loro». Domandandosi poi se: «Può l’architettura chiarire i nuovi valori e i nuovi stili di vita dell’XXI secolo?». Un premio quindi che pur dovendo essere diviso con il suo partner Ryue Nishizawa è sorprendendente in sincronia con la visione di questa signora, seconda donna dopo l’inglese Zaha Hadid nel 2004, a ricevere il prestigioso riconoscimento.
Le coppie di architetti avevano vinto solo altre due volte, nel 1988 con Oscar Niemeyer e Gordon Bunshaft e nel 2001 gli svizzeri Jacques Herzog e Pierre de Meuron. Saana è anche il quarto studio giapponese a ricevere il premio. Prima di loro Kenzo Tange nel 1987, Fumihiko Maki nel 1993 e nel 1995 Tadao Ando, l’architetto autore del restauro di Punta della Dogana a Venezia. Il primo in assoluto ad aver preso il Pritzker fu nel 1979 Philip Johnson. Gli italiani sono stati due. Aldo Rossi nel 1990 e Renzo Piano nel 1998. Le candidature vengono proposte o sollecitate da personalità che lavorano in campi diversi. Ma anche tutti gli architetti professionisti possono fare liberamente le loro proposte, mandate semplicemente via e mail al direttore esecutivo del premio che a sua volta le sottopone alla giuria.
Quest’anno il premio alla coppia di architetti giapponesi, che principalmente hanno costruito in Giappone, è stato motivato perché la loro architettura è «simultaneamente delicata e potente, precisa e fluida, ingegnosa ma non sfacciatamente o esageratamente intelligente». Forse un richiamo a quella generazione di architetti divenuta troppo intelligente e concettuale ma poco funzionale. D’altronde la medaglia di bronzo del Pritzker, basata su un disegno dell’inventore dei grattacieli Louis Sullivan, da Chicago, porta scritto su un lato «firmness, commodity and delight», fermezza, comodità e piacere, citando i fondamentali principi di Vitruvio: firmitas, utilitas, venustas. Come per dire che un edificio deve stare in piedi, essere utile ma anche essere piacevole. Qualità banalmente ovvie ma raramente oggi rispettate.