Michele Masneri, Il Riformista 2/4/2010, 2 aprile 2010
BERHEIM E I BOLLOR. DAL LICEO JANSON DE SAILLY ALLA STAFETTA DI TRIESTE
La staffetta tra Antoine Bernheim, presidente uscente, e Vincent Bollorè, neo vicepresidente, a Generali, non è solo un ricambio generazionale o il frutto dell’abilità negoziale di Cesare Geronzi, ma è anche l’ultimo atto di un rapporto tra allievo e maestro, di un’amicizia sul filo della grande finanza puramente balzachiana.
In effetti, questa union sacrée tra il rampollo di una dinastia ottocentesca della carta e il «diabolico» banchiere d’affari sembra uscita pari pari dalle Illusions Perdues.
La cattolicissima famiglia Bollorè è attiva in Bretagna fin dal 1822, con due specializzazioni: cartine per sigaretta e carta per stampare bibbie di campagna. Già nell’Ottocento la Bolloré era diventata un colosso, celebrata poi anche da una canzone della cantante Cathy Claret, ”Bolloré”, resa famosa in Francia da BB King e che suona così: «Bolloré ti toglie le pene/Bolloré per tutta la vita/Bolloré ci rende tutti folli/Bolloré, che cartine!». I Bolloré coniugano da sempre impegno imprenditoriale e fervore religioso: nel 1905 il collegio religioso di Quimper, nel cuore della Bretagna, dove hanno studiato i Bolloré di diverse generazioni, viene messo all’asta a seguito delle leggi anticongregazioniste, e un René Bolloré II lo riacquista a basso prezzo per poi riaffittarlo convenientemente al vescovo.
Il Novecento però vede la crisi della dinastia bretone, e negli anni Settanta la cartiera viene venduta ai Rothschild. Sembra la fine di un impero, quando, nel 1981, il giovane Vincent, a cui il padre Michel come severo motto di famiglia ripeteva sempre «Il ne faut jamais aider personne», non aiutare mai nessuno, sente su di se il sacro impeto di ritornare ai fasti familiari. Ai Bolloré non sono rimaste che delle buone conoscenze nate nelle migliori scuole. Come il liceo parigino Janson de Sailly, nel XVI arrondissement, inaugurato nel 1880 da Victor Hugo, e dove hanno studiato tra gli altri l’ex presidente della Repubblica Valéry Giscard d’Estaing e Claude Levi-Strauss. Michel si ricorda di un vecchio compagno di scuola: Antoine Bernheim.
Organizza dunque una riunione di antichi compagni, col fine di presentare al rampollo colui che è già diventato un mostro sacro della finanza ebraica, cresciuto alla scuola di personaggi come André Meyer, i fratelli Lazard, e anche quell’Enrico Cuccia che costituirà per Bernheim, e poi per Bolloré, il passepartout per entrare nel cuore del capitalismo italiano, Mediobanca e Generali. Bernheim prende in simpatia quel giovanotto senza complessi ma con un solo obiettivo, riportare il nome di famiglia ai fasti di un tempo. Come primo atto di un’amicizia che durerà tutta la vita, convince gli amici Rothschild e per soli 4 franchi (simbolici) il giovane Vincent riavrà indietro le decotte cartiere di famiglia.
I due personaggi non potrebbero essere più diversi: imprenditore Bolloré, concentrato sul ricreare una grandeur di famiglia, cattolico fervente. Ebreo Bernheim, imparentato con Gilles Bernheim, rabbino capo di Francia, finanziere puro, che per sua stessa ammissione coltiva una passione per il potere ma non per il denaro (come il suo sodale Cuccia): «sono molti quelli a cui ho fatto guadagnare molto denaro, ma io ho solo il necessario per vivere». E non c’è solo il giovane Bolloré, per gli amici VB (vébé), a cui sarà vicino in molte avventure, e che porteranno al soprannome di «Petit Prince du cash-flow», data la sua leggendaria capacità di creare liquidità. C’è anche l’uomo più ricco di Francia, Bernard Arnault che solo grazie ai buoni uffici di Bernheim è riuscito a creare il colosso del lusso mondiale Lvmh, o Francois Pinault a conquistare i grandi magazzini Printemps.
Ma è con Bolloré che Bernheim diventa il Vautrin balzachiano, il suo spirito-guida un po’ mefistofelico. Per lui Bernheim (pronuncia strettamente francese e non tedesca, dunque Bernéim, dato che i primi esponenti della famiglia erano in Alsazia già nel Settecento), mette a punto un sistema che verrà poi chiamato «les poulies bretonnes», le carrucole bretoni, un sistema di holding a cascata che permetterà al giovane Vincent di controllare un impero riducendo al minimo la partecipazione di fondi personali. Impero che negli anni spazierà dai porti alla plastica, dalla pubblicità alle tlc, coi colossi Havas e Aegis, e che porterà a una serie di operazioni, dal tentativo di scalata su Bouygues, a quelle sui cinema di Pathé o sulla stessa Lazard.
Negli anni Settanta arriva la decisione di Toniò di concentrarsi in Italia: decisione in parte eterodiretta, perché il suo acume aveva messo pericolosamente in ombra il patron della Lazard, Michel David-Weill. Dunque l’Italia, con la prima poltrona nel board di Generali nel 1973, grazie alle buone relazioni con Cuccia e con molti altri personaggi di primo piano. La capacità di creare network del resto è caratteristica del personaggio: dalla rete dei Lazard in America alla Spagna di don Emilio Botin, la cui figlia Anna è consigliera di Generali. Restando in Italia ci sono anche gli ottimi rapporti con due presidenti del Consiglio come Romano Prodi e Silvio Berlusconi, con il patron di Tod’s Diego Della Valle, e soprattutto col Vaticano, di cui Toniò ammira molto i fasti, e dove spesso viene ricevuto in udienza privata, nonostante i mugugni di alcune frange tradizionaliste che mal vedono un ebreo così ben ricevuto nei sacri palazzi. A Roma può contare anche su una sponda aristocratica, avendo la figlia Martine sposato il principe Domenico Napoleone Orsini.
Crearsi importanti reti di amici è stato un insegnamento fondamentale per il delfino: il quale può annoverare tra i suoi rapporti non solo quelli con l’establishment francese, dal clan Mitterrand a Jacques e Bernadette Chirac, agli imprenditori Pinault, Lagardère, Arnault. Quello più famoso è quello, strettissimo, con Nicolas Sarkozy, a cui Vb ha imprestato parte della sua flotta di cielo e di mare per trascorrere una minivacanza a Malta subito dopo la fatale elezione del 2007. Il Falcon 900 e soprattutto il 60 metri d’epoca Paloma su cui la famiglia presidenziale (Nicolas più l’allora consorte Cécilia e il figlio Louis) era ospitata fecero gridare allo scandalo la gauche più tradizionalista, mentre ancora non era alle viste il ciclone Carlà.
Altri tempi. Adesso a Trieste il passaggio di consegne tra Toniò e l’allievo sarà malinconico. Ieri certamente si saranno sentiti per gli auguri (Vb compiva 58 anni) e la settimana scorsa Bollorè ha detto, con un gesto di galanteria un po’ teatrale nei confronti dell’anziano mentore, che «pensare a una Generali senza Bernheim è uno sforzo intellettuale e psicologico troppo duro». In realtà a Parigi si racconta che da mesi il delfino stava preparando il maestro al distacco, e che la cosa fosse in certo modo da questi acquisita, come proverebbe la crescente frequenza dei soggiorni veneziani (all’amato hotel Gritti) e francesi di Toniò. Ultimo in ordine di tempo, quello per la cena al discretissimo e snobissimo Club du Siècle, che raduna, da Sarkozy in giù, tutto l’establishment transalpino. Una riunione che si tiene ogni ultimo mercoledì del mese a Place de la Concorde, e alla quale Bernheim non ha voluto rinunciare, mentre a Piazzetta Cuccia si consumavano le ore decisive per la partita triestina.
Toniò del resto assicura di avere ancora molti progetti. Di sicuro continuerà a dedicarsi al bridge, sua grande passione e per sua stessa dichiarazione «attività ottimale per gli anziani, dato che ringiovanisce i neuroni pur distraendosi». E’ atteso infatti ai prossimi europei di Sanremo, a metà giugno, dove è un affezionato insieme all’amico Romain Zaleski e alla contessa Maria Teresa Lavazza, suoi compagni di tavolo verde. Il delfino, invece, giocherà la sua nuova partita in Italia, ma senza dimenticare la passione familiare per la carta. Ha annunciato infatti che entro l’estate lancerà un nuovo giornale in Francia, fatto solo di commenti e senza fotografie. L’ispirazione gli è venuta dal Foglio, ma con l’aggiunta della inevitabile grandeur dell’uomo e della sua terra: la tiratura prevista dovrebbe essere di circa 350 mila copie, e l’ambizione, sfidare Le Monde.