Marco Ferrante, Il Riformista 1/4/2010, 1 aprile 2010
COS PENS ZAIA. LA RIVELAZIONE DELLE REGIONALI
Il libro si chiama ”Adottare la terra”. stato pubblicato un mese e mezzo fa ed è una specie di prontuario con le idee della rivelazione elettorale di tre giorni fa, Luca Zaia, eletto presidente della Regione Veneto con oltre il 60 per cento dei voti.
Zaia è un curioso fenomeno di comunicatore, di ambizioso testimonial di leghismo buono, perbene, non urlante, locale, ma non ostile al confronto con i globalisti, sostenitore dei dazi, fermamente antimercatista (nella definizione di Giulio Tremonti, cioè contraria al dominio del liberismo nella versione propagandata dagli ex comunisti), ma anche convinto che Bruxelles vada sconfitta a Bruxelles con la partecipazione degli italiani al gioco di potere della capitale politico-burocratica europea, per esempio ha indovinato la fruttuosa alleanza con la Francia sui temi agricoli. Zaia è soprattutto l’interprete di un aggiornamento della visione culturale iper-territoriale della Lega Nord, alla ricerca di un equlibrio tra i postumi della metalmezzadria, le esigenze degli allevatori e degli imprenditori caseari, i farmers’ market e anche lo slow food («Carlo Petrini – scrive – uno che dice le cose giuste militando in una parte che, spesso, fa solo finta di volergli bene»).
Agricoltura e territorio sono state la chiave della sua carriera politica. Diploma in una scuola enologica, laurea in scienze della produzione animale, la scelta adolescenziale di preferire il cavallo al motorino quando suo padre – meccanico - glielo chiese; 41 anni, veneto post-democristiano, è stato prima consigliere comunale nel paese dov’è nato, poi consigliere, assessore all’agricoltura e presidente della provincia di Treviso, assessore regionale all’agricoltura e infine ministro della repubblica sempre per l’agricoltura.
Chi lo conosce racconta che in ”Adottare la terra” (Mondadori, 113 pagg. 17,00 euro), c’è la visione di Zaia, ma anche il risultato di un rapporto molto stretto con la Coldiretti e con il suo presidente Sergio Marini, in buoni rapporti con il governo di centrodestra. E’ l’organizzazione che raccoglie un milione e mezzo di associati, e che rappresenta le imprese agricole. 19 federazioni regionali, 97 provinciali, oltre 6.500 uffici locali, 20.000 dirigenti locali, una notevole massa di fuoco. Insieme alle rappresentanze degli artigiani, alle Casse di risparmio e le banche di credito cooperativo, Coldiretti era stata uno dei ventricoli del potere democristiano, dal fondatore Paolo Bonomi al suo erede e successore Arcangelo Lo Bianco, che lasciò la presidenza nell’anno orribile 1993. Quello schema di cinghia di trasmissione è lo stesso a cui punta esplicitamente Umberto Bossi. Del resto che la Lega sia la forza politica che più cerca ispirazione nella prassi territoriale democristiana è dimostrato dall’atteggiamento del partito sul ministero dell’Interno, oppure adesso su quello dell’Agricoltura (l’obiettivo è tenerselo) o ancora sulle fondazioni bancarie. Zaia al momento è il miglior interprete di questa linea d’azione.
Così in ”Adottare la terra”, troverete un’idea di protezione della qualità del prodotto, di tutela degli insediamenti e del rapporto di vicinanza tra prodotto e mercato («Che cosa avrebbe suggerito Pareto per evitare che ogni singolo prodotto alimentare finisca col compiere mediamente un periplo di 2500 chilometri per arrivare , quasi sempre insapore, sul piatto del consumatore?»).
I titoli dei capitoli da un programmatico ”Dalla parte dei contadini”, passando per ”Radicamento e contemporaneità”, ”Multinazionali e contadini”, ”Le lingue locali come scrigni di identità e cultura”, ”La crisi dell’aricoltura, il palazzo e l’Europa”, ”Il frigorifero degli orrori”, ”Il ritorno della comunità”, parlano di territorio da preservare, di aggressività del mercato, di globalizzazione spietata, di radici da difendere, dell’inutilità degli Ogm, di primato delle esigenze del consumatore da coniugare con quelle del produttore diretto. Troverete un robusto preconcetto di base antiliberista (mai dimenticare, però, che pretendere un sistema di regole a presidio del corretto funzionamento del mercato è il fondamento del liberalismo economico), ma anche un elemento di ragionevolezza e di buonsenso: per esempio il convincimento che il processo di globalizzazione non sia stato governato con la cautela che sarebbe stata necessaria. Del resto è uno degli argomenti su cui Giulio Tremonti ha costruito la critica alle politiche della terza via. Sulla questione alimentare, per esempio, Zaia contesta il rapporto con le multinazionali del settore. Racconta il caso del negoziato con McDonald’s per chiedere alla società americana di comprare prodotti italiani per il mercato italiano. Suggerisce una strada sugli ogm, che non è fatta solo di allarme per la proprietà futura dei semi modificati (che pure c’è nel suo libro), ma introduce un tema condiviso dagli slowfoodisti: forse gli ogm potrebbero servire per risolvere il problema della fame nel mondo, ma a che cosa serve un gene modificato in un’agricoltura dell’eccellenza come quella nostra?
C’è, invece, dal punto di vista della tutela delle origini, una maggiore tolleranza sulla questione della modificazione di territorio e paesaggio. Zaia è più dalla parte di Petrini che non da quella di Italia nostra. Ma la cosa si spiega con la metalmezzadria delle origini, con la storia dello sviluppo in Veneto, la distesa di borghi rurali, ville patrizie, capannoni, e rotatorie. E lui stesso che descrive questa strana metropoli dilatata, con una specie di indulgenza per i luoghi: «una grande città che si confonde con la campagna e che presenta di un’area metropolitana sia i difetti – la perdita di sicurezza e di qualità ambientale, il congestionamento del traffico – sia i pregi: l’elevato tenore medio di vita, il flusso costante di merci, persone e idee, il fermento culturale».
I suoi avversari dicono che è stato molto attento al tema dell’identità, ma che i problemi dell’agricoltura resteranno identici per chi gli succederà, e che dovrà vedersela con la competizione di Claudio Scajola che ha rilanciato i consorzi agrari e garantito gli incentivi per le macchine agricole. Questo si vedrà nei prossimi mesi.
Adesso, da presidente della regione, la linea di Zaia sarà quella di un convinto sostenitore delle piccole patrie (in ”Adottare la terra”, utilizza nella parte di teste a sostegno Goffredo Parise). Come spiegavano ieri le analisi del Sole 24 Ore e del Corriere della Sera, Zaia chiederà più competenze a Roma e un riequilibrio del saldo finanziario con lo stato centrale tra il dato e il ricevuto; e nel frattempo dovrà governare con saggezza il rapporto con il blocco degli interessi imprenditoriali che si era costruito intorno a Galan. Poi dovrà stare al gioco della dialettica tra territorio e finanza nel rapporto con le banche. E’ il candidato ideale per la rivendicazione local del banchierismo leghista (a cui Alessandro Profumo ha già risposto: «Unicredit continuerà a parlare il dialetto dove abbiamo le radici, ma anche l’inglese»).
In tutto ciò, Zaia, leader intelligente, spugnesco ed estremamente concreto, avrà di fronte a sé anche una sfida di tipo formalistico. Quel genere di trovate mediatiche come la soppressione delle livree per i commessi in quanto – lui sosteneva – simbolo di subalternità al potere politico mentre invece è solo un simbolo del rango dell’ufficiale pubblico; oppure la battaglia sanremese sulla canzone dialettale, sono divertenti ma rischiano di diventare diversivi manierati e quasi convenzionali.
Il talento comunicativo del neo presidente può fare di meglio. Si ricorda una partecipazione all’Era glaciale di Daria Bignardi. Dove lui raccontò dei cinque asini pagati 2500 euro che utilizzò per brucare l’erba su tre chilometri di una strada provinciale del trevigiano che davano su una scarpata e dov’era impossibile falciare l’erba dal ciglio. E dove colpì l’intervistatrice con un colpo di teatro giocato con estrema disinvoltura. Verso la fine dell’intervista, lei gli ricorda una frase pronunciata da lui in campagna elettorale: il ministro dell’agricoltura assicurava che si sarebbe sporcato le scarpe di fango e letame in giro per le stalle dei suoi elettori. Mi spieghi questa storia delle scarpe, gli dice Bignardi, mio padre diceva sempre, devo star ”commodo”, devo andare alle stalle. Certo, dice lui interrompendola, l’ho letto nel suo libro («Non vi lascerò orfani»). Ma davvero ha letto il mio libro, dice l’intervistatrice, o gliel’ha detto il suo ufficio stampa? Io i libri li leggo, assicura Zaia. Il quale nel suo ultimo cita Zygmunt Bauman, Simon Weil, Dostoevskij lato Stavrogin, John Locke e parecchi altri, e in quella puntata dell’Era glaciale aveva già citato – del tutto incidentalmente - Cornelia (dei Gracchi) e Adriano imperatore.