DARIO CRESTO-DINA, la Repubblica 4/4/2010, 4 aprile 2010
IRENE GRANDI
Irene ascolta i Sigur Ros, guarda i gatti e la sua vita a metà. vestita di nero, una giacca chiara sopra la camicia, il corpo minuto nascosto nei pantaloni larghi, lo sguardo resta a lungo riparato dietro le lenti scure degli occhiali. Se da qualcosa dobbiamo cominciare, allora cominciamo dai gatti. Per cercare di mettere ordine nell´indice dei nomi di Irene Grandi cominciamo dai gatti che le somigliano. Nella casa all´Impruneta, sulle colline di Firenze, ne ha due. Sono gatti di campagna, sono cacciatori di lucertole magri e altezzosi, ombre di seta grigia che accarezzano le caviglie mentre cercano una pietra al sole. Lei li ha chiamati come fossero uomini adulti. Come fossero persone. Uno è Mukki Pisani. «Mi sono ricordata di una vacanza all´Elba, di un ragazzo che la sera gridava andiamo a mangiare il mucco pisano, la bistecca. Mi faceva ridere quel suo modo di dire. L´ho tenuto nella testa, l´ho consegnato a lui quando l´ho preso in casa». L´altro è Nino Caputo. «Un nome del Sud, pieno di sole, di allegria, di danza e casino». E forse di musica, uno swing, uno di famiglia insomma.
Lei è entrata nella famiglia della musica a tredici anni. Abitava a Firenze, in via Gioberti. Ascoltava soltanto Sade. Ne venne rapita. Sulle sue canzoni imparò l´inglese. «La sera mi mettevo in salotto, un faretto anni Settanta sparato negli occhi, brandivo il manico di una scopa come microfono, il mi´ babbo Franco, che lavorava in banca, mi soffiava sulla faccia il fumo della sigaretta per creare l´atmosfera di balera e io cantavo Sade. Avevo un pubblico di parte e indulgente anche se non molto numeroso. Mio fratello Duccio, che è di tre anni più grande di me, e la mamma Rowena, casalinga piena di grinta e volontà, una che ha preso la laurea all´università quando noi figli abbiamo scavallato l´adolescenza». Piano piano si è messa ad ascoltare tutto ciò che entrava in casa. Rubava le passioni degli altri: gli U2, gli Ultravox, i Cure, i Pink Floyd, i Beatles e i Rolling Stones, Bob Dylan, Aretha Franklin, Marvin Gaye. «Con il tempo ho scoperto che possedevo una bella voce, con il suo timbro ricercato e originale. Ho studiato i musicisti che ritengo siano stati i miei maestri: Pino Daniele, Lucio Battisti, Francesco De Gregori, Battiato, Giovanni Lindo Ferretti e Vasco Rossi. Così ho fatto qualche disco, sono andata tre volte a Sanremo, e quest´anno dovevo vincere io, non c´erano cazzi, invece sono arrivata penultima... ma il mio brano, La cometa di Halley, è il più trasmesso dalle radio. Va bene, basta. Eccomi qui».
Esplode in una fragorosa risata, fa il gesto di arrotolare una canna con le mani, seguito da una piccola bugia. «Ho smesso, ormai solo tabacco». Parlare con Irene Grandi è un po´ come stare dentro un hellzapoppin´, il suo racconto è discontinuo, appare e scompare tra il tempo e le cose, tra il nonsense e l´esoterismo, tra la gravità e la presa in giro, insomma, seguirne il corso è complicato. Le storie e i personaggi vengono sollevati, abbandonati, recuperati. «Prendi Vasco Rossi, per esempio», mi fa. «Vasco è uno che se entrasse in politica io lo voterei subito. Perché, vedi, io sono una scheda bianca di sinistra che dentro il Pd non riesce a trovare un capo per il quale appassionarsi. Non capisco i loro piani, non capisco il linguaggio con il quale si esprimono. Io sono per la sinistra che si prende cura della società, dei lavoratori, delle donne, della parità dei sessi, della libertà di espressione, dei diritti civili e degli immigrati. E dov´è tutto questo? Non lo vedo. Ma forse sto dicendo un mare di sciocchezze, non sono preparata, sono soltanto una piccola borghese. Borghese, parola molto brutta. Parliamo d´altro che forse è meglio».
appena tornata da una vacanza a Bali, soffre di congiuntivite. magra, appare consumata, molto diversa dalla cantante che siamo abituati a vedere su un palco. Confessa che sta prendendo la rincorsa per un altro salto mortale. «Sono un´esperta in resurrezioni. Rinasco a ogni disco, elimino le persone che non mi hanno amato». Il suo ultimo lavoro si intitola Alle porte del sogno. la testimonianza di una disillusione, contiene le tracce dei passi di una donna intenta a camminare su un confine. La frase di una canzone dice: «Se non sai da che parte girarti, stai ferma». ciò che lei sta facendo. «Sono stata una ragazza in vacanza da una vita, una viaggiatrice. Ora ho quarant´anni, ho provato il dolore e l´amore deluso. Sono cambiata». Si è rifugiata all´Impruneta da due anni e mezzo. Quasi sola. Ha una vicina che si chiama Lisa Kant, è una cantante pop, Irene ha deciso che la produrrà, il suo nome d´arte sarà Monna Lisa. Dopo i gatti Lisa Kant è la persona che frequenta di più. «Ho cominciato a odiare i miei simili, la troppa comunicazione impedisce la profondità delle relazioni. Mi sono resa conto di avere smarrito il bambino magico che c´era in me, il mio adolescente guerriero».
Sette anni fa Irene Grandi si è sposata a Las Vegas, il matrimonio è durato cinque anni, fino a un anno e mezzo fa. «Volevamo andare a vivere in Sudafrica, alla fine in Sudafrica c´è scappato lui. Il mio desiderio di essere amata era così forte che m´ha strappata a me stessa. Sono diventata un´altra, mi sono trasformata nella donna che lui voleva io fossi. Oggi ho capito che ho voluto credere all´amore anche quando se n´era andato da un bel pezzo. L´ho fatto durare troppo e mi sono fatta male, molto male. Adesso ho bisogno di tempo e di solitudine per riscoprire chi sono».
Conoscere se stessi è conoscere il mondo e paradossalmente una forma di esilio dal mondo. Irene non ha scelto l´analisi, si è immersa davvero in un altro pianeta interiore. Tra l´Oriente e il Sudamerica, un percorso che non si sa bene dove potrà portarla. «Pratiche sciamaniche», mormora con una smorfia. Snocciola ancora una volta nomi e libri. Posso soltanto stare lì ad ascoltarla mentre cita a memoria il suo catalogo. «Caccia all´anima di Giancarlo Tarozzi. Si tratta di un viaggio bendato nella nostra mente per trovare le nostre anime nascoste, quelle anime che non siamo più riusciti a fare venire fuori. Sembrerò pazza, ma lavoro sull´immaginazione, sto sulla porta del sogno, non su quella della tristezza. La donna della luce di Hernan Mamani Huarache, scrittore e curandero peruviano. E ancora Innamorarsi dell´amore di Osho, cioè Rajneesh Chandra Mohan Jain, filosofo, leader carismatico e maestro spirituale indiano fondatore degli Arancioni morto nel 1990, fino a Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare». Le domando se la "cura" funziona. «Ho il cuore ferito, ma ho recuperato un po´ di energia. In questo momento credo di non essere più capace di parlare con gli uomini, sono troppo aggressiva. Se mi toccano le cose a cui tengo divento cattiva, ma mi sento bene ad essere arrabbiata. Il prossimo traguardo sarà imparare ad amare, a quel punto aspetterò che l´amore arrivi. Ora sono single. Oddio, ho due o tre amanti, siamo amici e facciamo sesso. Si può dire che facciamo sesso o è peccato mortale? ». Si può dire, perché no.
Lontano dal ritiro dell´Impruneta c´è il lavoro, la preparazione del tour che comincerà a maggio, prima tappa il quindici proprio nella sua amata Firenze, al teatro Verdi. E c´è un desiderio quasi artigianale che coltiva da quand´era ragazzina. «Voglio imparare a suonare le percussioni: tamburi, djembé, tablas, congas, cembali. Sono orgogliosa e testarda. Prima o dopo ce la farò». Le domando quali sono i giovani artisti della musica italiana che più apprezza. «Arisa, Malika, Noemi, Giusi Ferreri e Fabri Fibra, un personaggio che mi piace a tutto tondo perché fa esperimenti, è eclettico e ama le scoperte». Le chiedo di Dio: «Sono stata battezzata e cresimata, credo nella madre terra, nella forza della natura come qualcosa di divino. Dio ancora non l´ho trovato. Credo di rispettare i dieci comandamenti, non sono completamente amorale. Un momento, devo rettificare: rispetto nove comandamenti. Sono una traditrice, ma accetto a mia volta di essere tradita. Non sono vanitosa e credo di non essere bella. So essere sensuale, questo sì. Quando sono seminuda, quando mi concedo e quando nuoto. Ho il terrore delle malattie e del degrado fisico. Cerco di combattere il tempo, faccio quanto è dato possibile agli essere umani per rallentarlo: lunghe passeggiate, un attento regime alimentare, un po´ di yoga. Preferisco stare in mezzo alla gente che non mi conosce. Non penso quasi mai alla morte. Vorrei andarmene come i pellerossa, sentire che è arrivato il momento di lasciare il mio villaggio e camminare fin su una montagna dove aspettare la fine. In Valle D´Aosta, a Cervinia, vive una famiglia di amici che mi ospita spesso nel suo albergo. Sono Ludovico, Luca e Christian Bich. Christian è un alpinista poeta. Ha scritto per me Greensburg, una delle canzoni del mio ultimo album. Ecco, vorrei morire sul Cervino, senza dolore, con dolcezza». Ma a quarant´anni e con una vita a metà c´è ancora molto da fare prima di programmare la propria dipartita. «Sì, mi sto preparando a diventare una donna capace di educare un figlio». Di solito, però, per farlo è auspicabile condividere il progetto con un uomo. «Discutiamone. Non siete più obbligatori».