ANTONIO MONDA, la Repubblica 4/4/2010, 4 aprile 2010
IL MITO DELLA RAZZA BIANCA
Chiunque abbia visitato il museo di Ellis Island, l´isola nella baia di New York che accoglieva gli emigranti che giungevano da ogni parte del mondo, per poi confinarli a umilianti periodi di quarantena, ha potuto vedere con i propri occhi i documenti che testimoniano quali fossero gli italiani considerati «bianchi». La classificazione razziale dei nostri emigranti scatenò un acceso dibattito che venne discusso perfino al Congresso, e alla fine generò questa soluzione: la linea di demarcazione venne individuata all´altezza di Torino, e precisamente nel quarantacinquesimo parallelo.
Venivano dunque considerati «italiano bianco» un mantovano o un trentino, mentre «italiano non bianco» un fiorentino, un romano, per non dire di un calabrese. Alla vicenda è stato dedicato un bel libro a firma di Jennifer Guglielmo e Salvatore Salvano intitolato Are Italians White?, a cui oggi fa seguito un nuovo testo che estende l´argomento fino a chiedersi con un misto di provocazione e profondo interesse accademico quale sia l´essenza stessa della razza bianca.
Il titolo è The History of White People e ne è autrice Nell Irvin Painter, un´ex docente di Princeton che è stata presidente dell´Organization of American Historians. La Painter è una donna di colore, e ha scritto numerosi saggi sull´argomento razziale. Dopo aver contribuito ad analizzare cosa definisca l´essere "neri", con un testo studiato e ammirato come Creating Black Americans, ribalta ora la prospettiva ricordando come sin dai tempi dell´Illuminismo le teorie della razza abbiano seguito un terreno scosceso, costruito da chi aveva tutto l´interesse a mantenere la propria posizione di dominio sugli altri.
Gli antichi greci, e poi i romani, si limitavano a notare che i Celti avevano un colore di pelle più chiara, ma le differenze venivano affrontate in chiave culturale, e sull´idea di razza prevaleva l´interesse di schiavizzare gli altri. Il concetto di "caucasico" si diffuse in Germania solo nel Settecento grazie a Johann Friedrich Blumenbach, e accanto ad esso si sviluppò il tentativo di associare alle definizioni di "sassoni", "anglosassoni" e "teutonici" l´idea di razze caratterizzate dalla bellezza e da una naturale attitudine al comando: è in quel periodo che germogliano i primi semi dell´esaltazione della razza ariana alla base, poi, dell´ideologia nazista. un mondo che si ostina a vedere il proprio centro unicamente in Europa, e nel quale queste teorie si diffondono per alimentare e giustificare una concezione imperiale. Ed è un mondo nel quale il dibattito parte da un livello intellettuale (l´autrice analizza il ruolo di personalità diverse come Thomas Carlyle e Madame de Staël) ma trova terreno fertile tra le fasce meno colte della popolazione, mentre alle teorie sul colore della pelle si aggiungono quelle del "temperamento razziale". Sull´altra sponda dell´Atlantico, Ralph Waldo Emerson e Thomas Jefferson rivestirono un ruolo fondamentale nell´identificare l´anglosassone protestante con un ideale di bellezza e raffinatezza: da questo mondo wasp (acronimo per "white anglo-saxon protestant") che celebrava la propria unicità e superiorità, erano esclusi i neri, gli ebrei, gli slavi, i cinesi, e, in quanto cattolici, gli italiani e gli irlandesi. In alcuni paesi latino-americani il termine "blanquearse" (schiarirsi) indica emancipazione sociale.
Tuttavia, il tema affrontato con maggiore incisività è quello dell´eugenetica: la Painter racconta delle oltre sessantacinquemila sterilizzazioni forzate che vennero operate sino agli anni Settanta in gran parte su donne non bianche, con la motivazione della presunta ereditarietà di geni criminali o di handicap mentali. In uno dei passaggi più dolenti, l´autrice afferma: «Quello che riusciamo a vedere dipende pesantemente da quello che la nostra cultura ci ha educato a guardare e a cercare». Come dire che l´idea stessa di razza è un´illusione.