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 2010  aprile 04 Domenica calendario

ELOGIO DELLA PASSEGGIATA

Che fare oggi e domani tra un pranzo e una cena? E nel tempo ritrovato? Riscopriamo il piacere di camminare. «Un esercizio moderato con cui ci si trasferisce lentamente e per ricreazione da un luogo all’altro C »: così la definisce l’ Encyclopédie , riflesso della civiltà dei Lumi. Ma ci sono tanti tipi di passeggiata e di passeggiatori. Ci sono gli abitudinari, come Thomas Mann, che ripeteva sempre lo stesso itinerario, da lui chiamato «pista», accompagnato dal suo cane. Una scorta amata anche da Virginia Woolf nelle sue passeggiate in campagna. Le bastava liberare un momento Tinker per vederlo saltare sopra i muri, infilarsi nelle porte aperte. Sembrava un folletto alla ricerca di qualcosa di introvabile. Ci sono i contemplatori come Joyce, che a Trieste percorreva instancabilmente il lungomare, passando in rassegna le barche. «Cammina per restare solo con se stesso... anche se, commentava maliziosamente Svevo, forse ci vede ancora meno di quanto si possa supporre».
Ma il più celebre è Rousseau che, nelle Fantasticherie
del passeggiatore solitario, esalta il valore terapeutico dello spettacolo della natura.
L’immagine assorta di Jean-Jacques con un lungo bastone da passeggio e un mazzo di fiori in mano si diffonderà in tutta Europa. «Niente di più singolare delle estasi che provavo osservando la struttura vegetale».
Un sentimento non condiviso dal poeta Rilke che, passeggiando con Freud, aveva confessato di essere turbato dal carattere effimero della bellezza della natura. Il padre della psicana-lisi, che ogni giorno, dopo un rapido pasto, faceva una passeggiata tra le vie di Vienna, preferiva invece le lunghe camminate in montagna.
Ci sono i maniacali, come Kant che usciva ogni giorno alle sette con l’abito grigio e la canna d’India in mano per il suo giro consueto, per poi fare una nuova sortita dopo pranzo. I vicini sapevano che erano le tre e mezzo in punto quando lo ve-devano avviarsi verso il viale dei tigli.
Altrettanto preciso, Simenon faceva una lunga passeggiata dalle nove alle dodici. Poi di nuovo dopo la siesta, questa volta insieme alla moglie.
Ci sono quelli che passeggiano in giardino, come Goethe che, in una vestaglia chiara, camminava orgogliosamente con le braccia dietro la schiena e la pancia in fuori. O come Flaubert che dedicava all’esercizio mezzora sotto i vecchi tigli del viale di casa. Ma anche un giardino può riservare delle sorprese. Proust stava passeggiando tra le aiuole di una signora, quando smise di parlare e si bloccò. Riprese a camminare e si fermò di nuovo. «Vi dispiace se rimango un po’ indietro? Vorrei rivedere quei piccoli rosai». Poco dopo era ancora lì, vicino alle rose, assorto in una delle misteriose folgorazioni che lo visitavano a tratti. Ci sono i flâneur che preferiscono le città. Nerval la percorreva di notte. Baudelaire la esplorava senza sosta. Apollinaire prediligeva i lungofiume dove, diceva, i bouquinistes , i venditori di vecchi libri, mantengono la Senna. Benjamin sapeva che il modo migliore per conoscere una metropoli è perdersi.
Ma ci sono anche i bizzarri, come Balzac, che amava i vialetti dell’«elegante cimitero» parigino del Père-Lachaise, trovando tra le lapidi i nomi adatti per i suoi personaggi.Un’esperienza ripresa da Cioran, che la consigliava come un’infallibile medicina interiore. Lì, «tutto quello che succede assume proporzioni normali».