Gian Maria Zaccone, Bruno Barberis, Il Sole-24 Ore 4/4/2010;, 4 aprile 2010
VITA AVVENTUROSA DEL SUDARIO
Allo stato delle attuali conoscenze sulla storia della Sindone è corretto affermare che fino al XIV secolo le uniche notizie che si possiedono riguardano la conservazione tra le reliquie di Cristo del suo corredo funerario, senza che per altro esistano documenti che consentono di collegare tali notizie con la realtà della Sindone di Lirey/Torino.
Una citazione interessante risale al 1203-4, durante la IV crociata. Tra i fatti tramandati dal cavaliere piccardo Robert de Clari c’èla notizia dell’esistenza in una chiesa di Costantinopoli di una sindone sulla quale era visibile l’impronta di tutto il corpo di Gesù, della quale si perdono le tracce con il saccheggio della città. Dai dati che conosciamo non possiamo con sicurezza affermare che si trattasse della stessa Sindone che apparirà più tardi in Francia, però la notiziaè egualmente molto interessante in quanto afferma la possibilità di esistenza di una sindone figurata a Costantinopoli. Non si deve sottovalutare in questo senso una miniatura di area bizantina, contenuta in un codice della fine del XII secolo, il cosiddetto
Manoscritto Pray , dove nelle due scene giustapposte della sepoltura di Cristo sembrano potersi cogliere dei riferimenti alla Sindone oggi a Torino.
Volendo comunque ipotizzare che quella descritta da Robert de Clari potesse avere una relazione con la Sindone che giungerà in Francia, è altrettanto arduo ipotizzare un percorso, a fronte dell’assenza di fonti esplicite.
Due sono le ipotesi su cui si è maggiormente soffermata l’attenzione degli studiosi. Quella più mediatica è legata a un possibile intervento dei Templari, che tuttavia non appare al momento sufficientemente documentata. La seconda, più interessante, confortata da documenti tuttavia ancora da verificare nella loro completezza, presuppone un passaggio in Grecia, dove vi furono insediamenti importanti di feudatari latini, tra cui la famiglia Charny, il cui esponente più di rilievo, Geoffroy, depositò nella chiesa del suo feudo francese di Lirey, intorno al 1356, la Sindone che nel 1578 giungerà a Torino il 1356 la data a partire dalla quale la Sindone presenta una storia documentata, tale da permetteredi ricostruirne con certezza spostamenti e vicissitudini, in modo da escludere la possibilità che vi sia stata una qualsiasi sostituzione, da allora sino a oggi. Il periodo della Sindone a Lirey è accompagnato da una significativa presenza di testimonianze documentarie e da un fondamentale riferimento iconografico.
Ceduta dall’ultima discendente di Geoffroy ai Savoia nel 1453, la Sindone rimase di loro proprietà sino al 1983, quando fu destinata per testamento da Umberto II di Savoia alla Santa Sede. Nel 1506, anno in cui ne vennero approvati il culto pubblico e l’ufficio, la Sindone fu stabilmente conservata nella SainteChapelle di Chambéry. Qui la notte del 4 dicembre 1532 scoppiò l’incendio dal quale il Lenzuolo fu salvato a fatica, ma non prima che si verificassero i danni ancor oggi ben visibili.
La Sindone segue poi gli spostamenti del duca Carlo II di Savoia, nel suo lungo peregrinare dovuto all’occupazione dei territori sabaudi durante le guerre tra Francesco I e Carlo V. Fu il figlio Emanuele Filiberto a riportare finalmente la Sindone a Chambéry, e di qui a Torino, dove,nell’opera di riorganizzazione del Ducato, decise di trasferire il centro di comando dei suoi domini, e con questo anche la Sindone, considerata il "palladio" legittimante della casa e dello Stato Con l’arrivo a Torino inizia il vero periodo d’oro della Sindone quale reliquia dinastica di Casa Savoia in ascesa, ma anche strumento privilegiato di pastorale e catechesi della Chiesa uscita dal Concilio di Trento, e ineguagliabile, struggente riferimento per la pietà popolare.
In città, dopo avere conosciuto diverse collocazioni provvisorie, nel 1694 il Lenzuolo trovò sistemazione definitiva nella Cappella del Guarini. Lì è stata, salvo alcuni periodi nei quali fu messa al sicuro da pericoli bellici, sino al 1993, quando, per permettere i restauri della Cappella, è stata trasferita nella teca dietro l’altar maggiore del Duomo. Di qui è stata asportata la notte dell’11 aprile 1997, a seguito dell’incendio che ha gravemente danneggiato la Cappella del Guarini, e ha anche minacciato l’integrità del Lenzuolo, rimasto comunque fortunatamente indenne.
L’esistenza della Sindone a Torino è stata scandita nel tempo dalle ostensioni, sino al ’700 periodiche, e in seguito celebrate con minor frequenza per solennizzare eventi dinastici o di particolare rilievo. Tale ridimensionamento del suo ruolo tra fine Sette e Ottocento trova spiegazione nel ripensamento che anche in alcuni settori ecclesiastici viene elaborato al riguardo di forme di pietà e di culto.
Rinnovato vigore al ruolo della sua presenza darà la fotografia del 1898, svelando il singolare comportamento di negativo fotografico dell’impronta e consentendo una diffusione della sua reale immagine. Da allora anche per i fedeli diventa ineludibile la questione scientifica della sua origine, che incontrastata presidia l’approccio con la Sindone nel XX secolo. Un approccio che, spostando il dibattito sull’origine della Sindone da elitario e dottrinale al piano popolare e scientifico, alimentò dibattiti e polemiche – ancora oggi non sopiti ”, rischiando seriamente di compromettere il sereno e fecondo approccio spirituale alla Sindone. Nel secolo scorso la Sindone è stata pubblicamente esposta nel 1931, 1933, 1978, 1998 e 2000. inoltre da ricordare l’ostensione televisiva del 1973, quella che più di altre subì il peso della questione scientifica.
Le ostensioni del 1998 e del 2000, e soprattutto la riflessione che scaturisce dal profondo e basilare intervento che Giovanni Paolo II, pellegrino a Torino, tenne sulla Sindone, ne hanno compiutamente recuperato il significato pastorale – per altro mai realmente negletto – con il risultato di consentire ai fedeli di accostarsi con maggior responsabilità alla Sindone e a tutti di trarne i profondi spunti di riflessione di cui è ricca quell’immagine.
dunque necessario prendere atto che sulla base delle fonti documentarie che certamente si riferiscono alla Sindone di Torino non possiamo andare, da un punto di vista strettamente storico, oltre la metà del XIV secolo. Tuttavia questo silenzio delle fonti non si può interpretare quale inappellabile sentenza circa l’impossibilità di far risalire la Sindone a epoca anteriore a quella medievale, anche perché, come si è visto, alcune piste di indagine sono aperte e invitano a ricercare ulteriori elementi. Dal punto di vista dell’approccio alla Sindone quale «provocazione all’intelligenza», secondo la definizione di Giovanni Paolo II, è tuttavia fondamentale il confronto diretto con il Lenzuolo, dal quale dobbiamo attendere delle risposte agli interrogativi di carattere scientifico.
Nello stesso tempo bisogna prendere coscienza che la storia della Sindone, al di là della questione della sua origine, si configura come una storia di profonda devozione, un importante passaggio della ricerca che ha coinvolto l’umanità credente fin dall’antichità nella ricerca del Volto del Dio fatto uomo, attraverso un percorso segnato da immagini di grande impatto, come il Mandylion di Edessa, la Veronica e la Sindone, che quindi sono legate da una forte continuità, se non ma-teriale, certamente e profondamente spirituale. Gian Maria Zaccone • IL TELO SOTTO AL MICROSCOPIO - Venticinque e ventotto maggio 1898: Secondo Pia scatta le prime fotografie della Sindone. L’importanza di tale avvenimento va ben al di là del suo significato storico e costituisce senza alcun dubbio una pietra miliare nella storia della Sindone poiché è a partire da esso che ha avuto inizio un periododel tutto nuovo e ricco di fascino: quello della "storia scientifica" della Sindone. La scoperta della "negatività" e il grande vantaggio di avere a disposizione delle fotografie sulle quali studiare nei minimi dettagli l’immagine costituirono un potente strumento di diffusione della Sindone e consentirono agli studiosi di iniziare seri e approfonditi studi sulle caratteristiche e sulla natura delle impronte.
Uno dei primi e dei più importanti temi di ricerca è quello riguardante le modalità di formazione dell’immagine. Si tratta di capire attraverso quale procedimento naturale un cadavere può lasciare su un lenzuolo una traccia con caratteristiche simili a quella visibile sulla Sindone. Numerose sono state le teorie proposte in questi cento e più anni di studi e tanti sono stati anche i tentativi sperimentali di riprodurre (a partire da un cadavere o attraverso un metodo artificiale) un’immagine simile a quella sindonica. In nessun caso però i risultati sperimentali risultano veramente soddisfacenti e alcune caratteristiche dell’immagine sindonica appaiono fino a oggi irriproducibili. I risultati ottenuti consentono però di affermare che l’immagine è stata prodotta, attraverso un procedimento naturale, dal cadavere di un essere umano e di escludere che sia dovuta all’opera di un artista tramite l’uso di una qualsivoglia tecnica di riproduzione. Inoltre l’immagine interessa il tessuto per uno spessore di appena alcuni centesimi di millimetro ed è assente al di sotto delle macchie di sangue (e dunque si è formata successivamente a esse).
Nel 1978 sono state prelevate tracce di materiale presente sulle cosiddette macchie ematiche ed è stato possibile accertare che si tratta di sangue umano di gruppo AB.
Nel 1973 e nel 1978 vennero effettuati sulla Sindone alcuni prelievi di microtracce, rinvenendo granuli di polline provenienti da 58 piante fiorifere. Poiché alcuni di essi provengono da piante che crescono solo in Palestina e in Anatolia si può concludere che è altamente probabile la permanenza prolungata della Sindone, oltre che in Europa, anche in tali regioni.
Nel 1977 alcuni scienziati americani sottoposero a elaborazione elettronica l’immagine della Sindone scoprendo che essa contiene in sé caratteristiche tridimensionali non possedute né dai dipinti né dalle normali fotografie. Un anno dopo un’equipe di studiosi torinesi ottenne, indipendentemente, immagini tridimensionali ad alta definizione tali da mettere in evidenza numerosi particolari altrimenti non visibili, come, ad esempio, le tracce sulla palpebra destra lasciate da un oggetto molto probabilmente identificabile con una moneta romana coniata nella prima metà del primo secolo d.C. Inoltre riuscirono a ottenere un’ulteriore immagine del volto privo delle ferite e delle colature di sangue, ricavando intal modo il volto reale dell’uomo della Sindone.
Qualche anno dopo effettuarono l’elaborazione elettronica in parallelo del volto dell’uomo della Sindone e delle principali icone del volto di Gesù risalenti al primo millennio dell’era cristiana evidenziando un altissimo numero di punti simili, tali da far ritenere molto probabile l’ipotesi che il volto dell’uomo della Sindone sia stato il prototipo dell’iconografia cristiana (almeno a partire dal VI secolo).
Nel 1988 furono prelevati dalla Sindone tre campioni di tessuto per essere sottoposti alla datazione con il metodo del radiocarbonio ( il cosiddetto C14). I risultati ottenuti dai tre laboratori incaricati dell’esame assegnarono al tessuto sindonico una data compresa tra il 1260 e il 1390 d.C. Questi risultati sono tuttora argomento di un ampio dibattito tra gli studiosi circa l’attendibilità dell’uso del metodo del radiocarbonio per datare un oggetto con caratteristiche storiche e chimico-fisiche così particolari come quelle della Sindone. La datazione medioevale contrasta con vari risultati ottenuti in altri campi di ricerca e inoltre non è facile accertare se nel corso dei secoli non si sia aggiunto nuovo C14 a quello presente al momento del taglio del lino utilizzato per tessere la Sindone. Studi effettuati su tessuti antichi hanno ulteriormente riaperto il dibattito scientifico sulla datazione della Sindone, fornendo risultati sperimentali che sembrano provare che contaminazioni di tipo biologico, chimico e tessile sono in grado di alterare considerevolmente l’età radiocarbonica di un tessuto. Pertanto al momento attuale il problema della datazione del tessuto sindonico risulta non ancora risolto.
Nel 1992 una commissione internazionale di scienziati venne incaricata di studiare un nuovo e più moderno metodo di conservazione della Sindone. Vennero progettate due nuove teche: una, di massima sicurezza, destinata alle ostensioni e una, più leggera, per la conservazione ordinaria. In essa la Sindone è sistemata orizzontalmente, completamente distesa, immersa in argon, un gas inerte, protetta dalla luce e mantenuta in condizioni climatiche (temperatura, umidità, pressione) costanti, tenute sotto controllo da un sistema di monitoraggio computerizzato. Nel 2002 la Sindone è stata sottoposta a un’importante e indispensabile intervento conservativo: sono state tolte le toppe cucite nel 1534 sui buchi provocati dall’incendio ed è stato sostituito il telo d’Olanda sul quale allora era stata cucita. L’operazione ha permesso di asportare i materiali inquinanti presenti sotto le toppe, residui dell’incendio di Chambéry.
Dalla fotografia del 1898 è trascorso oltre un secolo e la ricerca scientifica sulla Sindone ha fatto senza alcun dubbio passi da gigante, raggiungendo conoscenze allora impensabili, ma ciò nonostante fermandosi di fronte a problemi che, per il momento, restano ancora non risolti, come, ad esempio, la formazione dell’impronta corporea. Ciò naturalmente contribuisce da un lato ad accentuare il mistero che da sempre caratterizza l’immagine sindonica, dall’altro a stimolare sempre nuovo interesse da parte degli studiosi e degli scienziati in ogni settore di ricerca. Bruno Barberis