Federico Fubini, Corriere della Sera 04/04/2010, 4 aprile 2010
QUEI «MAGAZZINI ELETTRONICI» IN GIRO PER IL MONDO
Liberistan, 4 aprile 2015. All’alba l’esercito occupa la capitale, a metà mattinata arresta il presidente della piccola repubblica dell’Asia centrale, all’ora di pranzo i soldati penetrano nella cittadella dell’elettronica. Nel primo pomeriggio, miliardi di email di cittadini europei, la contabilità di tre banche di Wall Street e l’archivio del fisco canadese scompaiono. A Ottawa, New York o Parigi, i computer ammutoliscono. In serata i golpisti chiedono un riscatto per rendere al mondo la sua memoria, immagazzinata sul loro territorio.
Fantapolitica, ovviamente. Ma non fantascienza: l’ascesa delle «nuvole» elettroniche, la delocalizzazione delle banche-dati digitali sulla rete e in direzione di server collocati in molti Paesi del mondo, rende ormai uno scenario simile perfettamente plausibile dal punto di vista tecnico. Gli esperti lo chiamano cloud computing. Le clouds (o nuvole) sono enormi magazzini di dati con centinaia di migliaia di server, le macchine che fanno viaggiare le comunicazioni sul web. Si tratta di memorie di computer condivise da milioni di persone in tutto il mondo. Già oggi centinaia o forse già migliaia di imprese offrono servizi di questo tipo, utilizzati per social network come Facebook, condivisione di documenti elettronici (come Google Docs), distribuzione di sistemi operativi, email. Le regine delle nuvole hanno nomi noti: Microsoft, Google, Apple, tutte con vaste reti globali di dati e servizi che un tempo erano chiusi nei nostri computer.
Non più: il cloud computing sta alla memoria dei Paesi ricchi come il Vietnam sta alla fabbricazione di scarpe dell’americana Nike. Aziende o università possono già spendere molto meno per i loro server e tutti noi per le dotazioni dei nostri Pc o per le applicazioni dei nostri software: tutto sarà conservato in qualche Paese lontano, chissà dove, e si potrà accedervi in qualunque momento. In teoria, basta un cellulare «intelligente» per andare sul web e tutto è lì.
In teoria, appunto. In pratica c’è chi vede nella delocalizzazione dell’intelligenza anche dei rischi. Francesco Pizzetti, presidente dell’Autorità garante della Privacy, ricorda che spesso nessuno sa dove si trovino i server ai quali affidiamo già le tracce elettroniche delle nostre esistenze. «Il cloud computing moltiplica la possibilità di furti e incursioni illecite nei sistemi», osserva Pizzetti. Non che il regolatore italiano si ponga su posizioni luddiste, come i tessitori inglesi di fine Settecento che cercavano di distruggere i primi telai industriali per tornare al mondo di prima. «Non possiamo risolvere il problema vietando le tecnologie», concede. Ma il problema di tutelare segreti industriali, militari o privati nell’era delle «nuvole» esiste. Per Pizzetti, si può iniziare a risolverlo con un nuovo accordo internazionale: «Dovremmo impedire – propone – di collocare server in Stati che non sottoscrivano regole di tutela dei dati immagazzinati sul loro territorio».
Federico Fubini