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 2010  aprile 04 Domenica calendario

SCENE PRIVATE DAL CRAC BURANI. I SEGRETI DELLA PARMALAT DELLA MODA – I

Burani. Sì, perché mai come per il gruppo della moda di Cavriago il plurale è d’obbligo. Più che una famiglia, una squadra, uniti ma ognuno con il suo ruolo ben definito. Aperti al management ma non troppo, tanto che nei posti chiavi siede almeno un membro della famiglia. A parte lei, Mariella Arduini in Burani, che pensa solo alle sue linee e non si «intromette» nella gestione degli affari. Una famiglia che ai pizzi e merletti della donna gitana deve sostituire l’amara sentenza del fallimento. Un impero con tante scatole, quattro società quotate e una miriade di marchi che va da Amsterdam a Cavriago passando per Milano e finisce con un avviso di garanzia per tutti gli uomini di casa. Fatte le dovute proporzioni richiama un po’ il caso Parmalat. Tanto più che sono vicini di casa.
Tutto comincia a cavallo tra gli Anni 50 e 60. Si chiama Selene, l’azienda di abbigliamento che nasce vicino a Reggio Emilia dalla volontà un po’ pazza di una giovane coppia, Mariella e Walter Burani, lei stilista appassionata, lui imprenditore coraggioso. Produce vestiti per bambine. E così va avanti per tutti gli anni Sessanta. Poi arrivano le teenager, successivamente la donna, fino al 1977 quando Mariella dà il nome alla griffe più nota del gruppo emiliano. Con l’ingresso dei figli, a fine Anni 80, l’azienda comincia a correre, prima con l’acquisizione di licenze (da Valentino a Gai Mattiolo) poi di piccole aziende e marchi (a partire dal 1999 con Mila Schön finita in mani giapponesi). Andrea (oggi quarantaquattrenne), amministratore delegato alla produzione, porta i brand moda nel mondo. Giovanni, il maggiore, 46 anni, è lo stratega della finanza, mentre il padre è presidente e amministratore delegato di un gruppo il cui fatturato nel 1996 era di 140 miliardi e, dieci anni dopo, sfiora i 673 milioni di euro. Come una galassia in formazione, Mariella Burani Fashion Group, ingloba aziende, diversifica negli accessori, va in Borsa (nel 2001), si trasforma sotto gli occhi dei suoi investitori, che sembrano gradire le buone performance del titolo. Da una costola di Mbfg nasce poi Antichi Pellettieri, la divisione leather, il gioiello di famiglia che fa il pieno di marchi prestigiosi (Coccinelle, Braccialini, Baldinini) e nel 2006 sbarca a Piazza Affari.
Abituati a muoversi con discrezione, defilati rispetto a Milano, centro della moda e delle infinite chiacchiere sul settore, i Burani sono persone tranquille, molto impegnate nella gestione quotidiana e nei progetti che Walter, il capofamiglia, mette a punto nel mondo delle risorse ambientali attraverso Greenvision e Bioera, anche queste oggetto di una straordinaria collocazione in Borsa. Mentre Giovanni porta avanti il progetto del lusso accessibile, concentrandosi nel settore leather e nella fashion jewellry con la creazione delle due sub-holding Antichi Pellettieri e Gioielli d’Italia.
Vicino a Matteo Arpe di Capitalia, a Emilio Gnutti della Hopa (presente con un 5% nella società emiliana), attivo sul fronte delle banche (Interbanca entra nella Burani Designer Holding, la cassaforte di diritto olandese, il gruppo investe in Capitalia ed ex Popolare di Lodi) Giovanni, quarantenne campione di triathlon che ogni sabato mattina si allena con una corsa in bicicletta di una cinquantina di chilometri, è l’uomo delle acquisizioni, delle alleanze, delle strategie finanziarie. Mentre il padre e il fratello Andrea con Chicco Gnutti condividono anche la passione per le belle macchine, d’epoca e sportive con cui hanno riempito il garage di Cavriago e con cui corrono regolarmente le Mille Miglia e le corse di Formula 1 d’epoca (Walter con la Ferrari del ”75 di Niki Lauda, Andrea con la McLaren del ”76 di James Hunt). Lontani dai riflettori della moda i Burani (il capofamiglia e signora, Giovanni sposato con tre figli e Andrea con due) vivono in case vicine nel centro del paese. La mondanità è solo quella delle sfilate a Milano dove negli Anni 80 e 90 cavalcano le passerelle di Mbfg anche tante top model, dalla pantera nera Naomi Campbell alla più eterea Claudia Schiffer a Eva Herzigova. Con i vip nel parterre («ma senza alcun gettone di presenza» sottolinea chi li conosce bene, «solo per amicizia») Renzo Arbore, Ursula Andress e poi Zucchero, Marta Marzotto, Ezio Greggio, Pippo Franco. «Grandi lavoratori» dicono di loro gli amici.
Nel business delle acquisizioni il metodo seguito è chiaro: sempre aziende medio-piccole dove i Burani entrano con quote di maggioranza sicura, ma conservando la presenza del socio fondatore nel capitale. Con una sorta di riguardo per chi c’era prima di loro. Il problema che sempre a debito. Perché la causa del crollo che ha causato l’uscita di scena della famiglia (e peggio gli avvisi di garanzia) non è stata la crisi della finanza prima e dei consumi poi che semmai ha aggravato la già drammatica vicenda, ma i debiti (500 milioni solo in capo a Mbfg). Soldi a prestito come se piovesse. Per acquisire aziende (a volte a prezzi troppo alti), finanziare attività ma anche per comprare titoli propri. Come nell’autunno del 2008, quando la crisi sembrava inimmaginabile e la famiglia promuove un’Opa sulle azioni di Mariella Burani: poco più di 4 milioni di azioni al prezzo stratosferico di 17 euro (il titolo sospeso nell’agosto 2009 vale 2 euro e qualcosa) finanziati in gran parte da Centrobanca, la merchant del gruppo Ubi (che infatti oggi ha in pegno il 66,4% di Mbfg).
Il resto è la cronaca degli ultimi mesi. Un impero che perde un pezzo alla volta, con il capofamiglia convinto fino all’ultimo di poter pilotare l’azienda fuori dalla secche ma che per salvare il gruppo dalla bancarotta non riesce nemmeno a tirar fuori i 50 milioni necessari e più volte promessi a sottoscrivere un aumento di capitale. E quando anche la blasonata Mediobanca lascia il suo incarico di advisor finanziario con i primi dell’anno e abbandona il campo, per gli addetti al settore il destino del gruppo è segnato. Prima il fallimento di Bdh, poi le dimissioni di Walter da presidente e amministratore delegato di Mbfg («una scelta sofferta ma per il bene della società»), un segnale di discontinuità chiesto dalle banche creditrici che Burani spera possa portare il gruppo verso il concordato preventivo. Mentre i sindacati, preoccupati per la sorte dei 2.200 dipendenti, premono anche sul ministero delle Attività produttive per l’ammissione alla legge Marzano. Il 16 marzo il tribunale di Reggio Emilia dichiara l’insolvenza dell’azienda, che viene così ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Arriva il commissario Francesco Ruscigno. Walter Burani si dichiara «profondamente amareggiato, anche sul piano personale». Dopo neanche 15 giorni un’altra tegola: dalle ipotesi di reato di aggiotaggio, falso in bilancio, frode fiscale e ostacolo agli organi di vigilanza a quella di bancarotta fraudolenta con l’iscrizione nel registro degli indagati del fondatore (in qualità di presidente di Bdh), dei figli Giovanni e Andrea e di altri membri del consiglio di amministrazione. Nel mirino le transazioni in Borsa di Bdh, la holding olandese a monte di Mbfg, ritirata dall’Aim di Londra nel 2009 e posta in fallimento dal tribunale di Milano l’11 febbraio 2010.
Antonia Jacchia