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 2010  aprile 02 Venerdì calendario

I GRECI HANNO MOLTE COLPE MA NON SONO GLI UNICI

Della crisi economica greca sarebbe opportuno non limitarsi ad analizzare le alternative di soluzione, analisi senz’altro indispensabile ed urgente, ma anche affrontare a fondo il chiarimento sull’origine della stessa crisi. Ci sono stati sforamenti nei bilanci pubblici, questo è certo, ma per fare cosa? Investimenti validi che ancora non hanno prodotto i loro effetti positivi? Investimenti azzardati che non avranno mai un ritorno economico? Spese gestionali senza copertura che hanno arricchito alcuni lasciando il conto da pagare a tutti gli altri greci? Non sembra che i mezzi di informazione diano risposte a questi quesiti.
Ascanio De Sanctis
ascaniode_sanctis@hotmail.com
Caro De Sanctis, ogni grande crisi esige una attenta analisi «post mortem». Nel caso della Grecia sappiamo per grandi linee che i conti pubblici furono «ritoccati» sin dalla fase che precedette l’adozione dell’euro. La malattia quindi è vecchia e le responsabilità non sono soltanto greche. Sappiamo anche che la Grecia soffre di corruzione, economia sommersa, evasione fiscale e clientelarismo: fenomeni che hanno l’effetto di ridurre considerevolmente il gettito fiscale e di favorire l’indebitamente delle pubbliche amministrazioni. E abbiamo l’impressione infine che Eurostat (l’istituto europeo di statistica) non sia stato in grado di esercitare una sorveglianza adeguata. Occorrerà capire quali rimedi debbano essere adottati per evitare che altri Paesi, soprattutto nella zona euro, possano nascondere per un periodo così lungo i loro vizi e i loro peccati. interessante che all’ultimo vertice di Bruxelles i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Ue abbiano preso in considerazione la possibilità di conferire a Eurostat il diritto di ispezionare, all’occorrenza, i conti degli Stati membri.
Non esiste tuttavia soltanto un problema greco. La crisi ha messo in evidenza anche l’esistenza di un problema tedesco. Per un paradossale rovesciamento dei ruoli uno dei Paesi più europeisti del continente ha frenato o esplicitamente respinto, per alcune settimane, tutte le formule che avrebbero permesso una soluzione europea della crisi greca. La Germania deve all’euro, in buona parte, lo straordinario aumento delle sue esportazioni; e i saldi attivi dei suoi conti corrispondono spesso ai saldi passivi dei Paesi europei importatori. Ma ha lungamente rifiutato di ammettere che questo possa comportare una sua responsabilità e ha reagito con fastidio quando la signora Lagarde, ministro francese della Finanze, si è permessa di ricordare che una tale situazione è alla lunga insostenibile.
Conosciamo i motivi di questa politica. Come Berlusconi, anche Angela Merkel legge i sondaggi e sa che i suoi connazionali considerano con indignazione la possibilità che soldi tedeschi vengano usati per aiutare i «fannulloni» mediterranei. Vi sarà una elezione il 9 maggio per il rinnovo del governo del Land Nord-Reno Westfalia e il cancelliere non vuole correre rischi. Non basta. La Corte costituzionale tedesca ha già fissato alcuni limiti alla politica europea del governo e potrebbe bollare con il marchio della incostituzionalità qualsiasi sostegno finanziario alla Grecia. Ma è possibile avere una moneta unica senza una politica economica comune e, in ultima analisi, un debito pubblico europeo? Fra i compiti della classe dirigente non vi è soltanto quello di raccogliere consensi e sopravvivere. Vi è anche quello di spiegare ai cittadini perché non sia giusto pregiudicare il futuro per compiacere gli elettori d’oggi. Mi sembra che la Germania, alla fine di un lungo negoziato, abbia fatto un passo indietro, sia pure piccolo. Forse l’aspetto più promettente dell’accordo di Bruxelles è la volontà, manifestata dalla Francia e accettata con qualche riserva anche dalla signora Merkel, di rendere più efficace e coordinato il governo economico dell’Unione.
Sergio Romano