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 2010  aprile 02 Venerdì calendario

2 articoli – CRESCE L’EXPORT MILITARE DELL’ITALIA - Nel 2009 aumento del 61% rispetto all’anno precedente Fra i principali clienti Arabia Saudita, Germania e Usa Le esportazioni militari autorizzate nel 2009 sono salite a 4,9 miliardi di euro con un aumento del 61% sull’anno precedente, confermando ed accentuando un trend di crescita che si era già evidenziato con un aumento del 29% nel 2008 e dell’8% nel 2007

2 articoli – CRESCE L’EXPORT MILITARE DELL’ITALIA - Nel 2009 aumento del 61% rispetto all’anno precedente Fra i principali clienti Arabia Saudita, Germania e Usa Le esportazioni militari autorizzate nel 2009 sono salite a 4,9 miliardi di euro con un aumento del 61% sull’anno precedente, confermando ed accentuando un trend di crescita che si era già evidenziato con un aumento del 29% nel 2008 e dell’8% nel 2007. I dati sono stati pubblicati nel Rapporto del Presidente del Consiglio dei Ministri sulle esportazioni militari. A queste autorizzazioni vanno aggiunti circa 1,8 miliardi dei programmi intergovernativi, destinati ad equipaggiare anche le nostre Forze Armate. Ma in questo caso l’attività esportativa è compensata da analoghe importazioni volte ad assicurare il rispetto del principio cost sharing/work sharing: l’industria italiana partecipa, infatti, ai programmi intergovernativi per la quota corrispondente al valore dei nostri acquisti. In ogni caso si conferma anche su questo terreno il riconoscimento delle capacità tecnologiche e industriali italiane da parte degli altri partner internazionali che accettano un alto grado di interdipendenza per componenti e parti tecnologicamente avanzate. Il forte aumento delle autorizzazioni non è legato tanto all’aumento del loro numero totale (2181 contro 1880 del 2008), quanto all’aumento di quelle più significative (sopra i 50 milioni di euro) passate da 8 a 22, che da sole coprono quasi il 60% delle autorizzazioni concesse. Fra i principali clienti al primo posto vi è l’Arabia Saudita col 16% (soprattutto grazie ai velivoli Eurofighter venduti dal Regno Unito, ma realizzati da un consorzio europeo), seguita da Germania con l’8%, Stati Uniti con il 7%, Regno Unito con il 5,6%, Qatar con il 4,7% (elicotteri medio-pesanti AW 101), India con il 3,6% (nave logistica classe Etna), Romania con il 3,2%, Spagna con il 2,9%, Emirati Arabi Uniti il 2,6%, Marocco con il 2,3%. I paesi Ue/Nato hanno assorbito quasi metà delle esportazioni autorizzate (con una certa diminuzione sul 2008 quando erano state quasi il 70%). Va, però, tenuto presente che la più importante commessa, quella degli Eurofighter all’Arabia Saudita, ha fatto crescere moltissimo la quota di esportazioni a paesi terzi: senza di essa il peso dell’area Ue/Nato sarebbe stato del 60%. Se, invece, si considerano le esportazioni effettuate nel 2009 il valore complessivo si attesta su 2205 milioni di euro con un aumento di quasi il 25% sull’anno precedente. Di queste 924 milioni di euro, pari al 42%, sono dovuti ai programmi intergovernativi. Va, però, sottolineato che c’è una sfasatura temporale fra le esportazioni autorizzate (che si svilupperanno, ma a volte non completamente, negli anni successivi) e quelle effettuate (a loro volta autorizzate in anni precedenti). Questi positivi risultati sono stati conseguiti dall’industria italiana anche grazie al supporto delle Amministrazioni pubbliche e del Governo, nella consapevolezza che solo le esportazioni possono compensare le ridotte dimensioni del mercato nazionale. L’industria italiana della difesa si è rafforzata e internazionalizzata nell’ultimo decennio ed è diventata un player nel mercato mondiale. Le spese per investimenti della Difesa sono, invece, diminuite nel quadro dei tagli alla spesa militare legati anche alla crisi economica e finanziaria. Di qui la strada obbligata dei nuovi sbocchi sul mercato internazionale. Questa strategia comporta, però, l’assunzione di impegni verso i Paesi clienti che coinvolgono la credibilità non solo dell’industria, ma del sistema-Paese, anche considerando che in questo mercato è importante il sostegno e l’intervento governativo. Ma i lacci e laccioli che caratterizzano il nostro sistema di controllo delle esportazioni sul piano normativo e procedurale rappresentano un fattore di alto rischio e creano seri problemi soprattutto per quanto riguarda: 1) l’acquisizione di nuovi contratti quando, come avviene sempre più spesso, sono complessi e di lunga durata, non rientrando nella rigida casistica delle semplici vendite; 2) la gestione dei programmi intergovernativi in cui il processo di produzione comporta una continua movimentazione delle parti; 3) le attività di supporto logistico e manutenzione che richiedono un’elevata flessibilità e tempestività (e con tutte le nuove vendite realizzate in questi anni questo potrebbe diventare il problema più grave). Per questo è da tempo indispensabile adeguare la nostra normativa ed allinearla con quello dei principali Paesi europei. I nuovi impegni assunti dall’Italia in sede europea e, in particolare, il recepimento della Direttiva europea sui trasferimenti intracomunitari e della Posizione Comune sulle esportazioni verso i Paesi terzi (oltre che quella sull’intermediazione nella vendita di armi sottoscritto sette anni fa) sono un’occasione unica per dare al nostro Paese un moderno sistema di controllo delle esportazioni militari che sia efficiente senza essere inutilmente rigido e complicato. Michele Nones, direttore Area Sicurezza e Difesa Istituto Affari Internazionali AMERICA LATINA E ASIA, SCACCHIERI EMERGENTI - Quando gli Stati non possono o non vogliono vendere direttamente delle armi si rivolgono a personaggi tanto veri da sembrare finti. il caso di Victor Bout, oggi in galera in Thailandia. Un uomo che ha piazzato cannoni e fucili ovunque. Vendendo agli islamisti del Pakistan come ai marxisti delle Farc. Oppure il belga Jacques Monsieur, detto «la volpe» o anche «il generale», diventato ricco procurando qualsiasi cosa per gli ayatollah iraniani. Denaro che però non si può più godere, visto che è finito in una galera dell’Alabama. Ma queste figure con le loro attività – a volte clandestine, a volte aperte – contribuiscono solo a una piccola parte del grande bazar delle armi. C’è la recessione, le casse di molti governi sono vuote eppure si continua a comprare e vendere materiale bellico. L’Istituto Sipri (Stockholm International Peace Research Institute)’ un centro di ricerche di assoluto valore – ha certificato che, negli ultimi 5 anni, vi è stato un aumento del 22 per cento delle vendite. Velivoli senza pilota, tank, sistemi, tecnologia, jet sofisticati ma anche semplici fucili. Qualsiasi cosa possa servire a sconfiggere un nemico presente o futuro. In cima alla lista degli esportatori ci sono gli Stati Uniti con il 30% del mercato, seguiti dalla Russia (23%), Germania (11%) e Francia (8%). Le vendite tedesche’ segnala ancora il Sipri – sono andate molto bene, con un incremento del 100%, grazie a massicce forniture di veicoli blindati. Due scacchieri – a parte il solito Medio Oriente – si sono distinti per le acquisizioni. Il primo è rappresentato dall’America Latina dove le tensioni tra Venezuela e Colombia hanno spinto a cercare di riempire gli arsenali. L’aumento della spesa è stato del 150 per cento. Con il presidente venezuelano Hugo Chavez pronto a usare gli introiti petroliferi per rifornirsi di nuovi mezzi in Russia. L’altro quadrante è l’Asia. I cinesi guidano la classifica degli acquirenti’ con un 9 per cento’ ma si segnalano anche Paesi più piccoli. Singapore – specifica il Sipri – è tra i primi dieci, non meno attivi la Malaysia e il Vietnam, che hanno deciso di ammodernare i loro apparati. Interessante la lista dei maggiori clienti degli Stati Uniti. Nel periodo 2005-2009 gli americani hanno piazzato armamenti per 34.5 miliardi di dollari: l’elenco dei fedelissimi è aperto dalla Corea del Sud (4.7 miliardi di dollari), quindi Emirati Arabi Uniti (3.9), Israele (3.8), Giappone (2), Australia (1.9), Egitto (1.9). Se un Paese compra un tank, il suo vicino ne vuole uno uguale se non migliore. E così scatta la consueta «corsa agli armamenti». Oltre a ragioni di prestigio nazionale, vi sono quelle legate a particolari situazioni geopolitiche. Le tensioni lungo le rotte del petrolio, con i ricorrenti scenari di un possibile confronto con l’Iran, vengono evocate per spiegare le acquisizioni belliche dei Paesi del Golfo. Ed è così che un mini-stato come gli Emirati continua a far felice le industrie belliche: è al quarto posto tra i compratori e non dimostra di voler smettere. Gli analisti ritengono che gli sceicchi continueranno a sborsare dollari visti i programmi ambiziosi approvati. Guido Olimpio