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 2010  aprile 02 Venerdì calendario

IL MISTERO (POCO) BUFFO DEGLI AUMENTI. IL PIENO? CORRE PIU’ VELOCE DEL PETROLIO

Letto da un blog: «Se volete fare salire il prezzo della benzina mandatemi in vacanza...». Visto in questi termini il problema potrebbe essere facilmente risolto. Niente fantasiosi scenari con opulenti sceicchi mediorientali, petrolieri speculatori, gabellieri di Stato o avidi gestori per spiegare le oscillazioni sospette dei listini che avvengono nelle piazzole dei distributori tra Ferragosto, Natale, Pasqua e Pasquetta: con l’abolizione delle feste comandate la stabilità sarebbe assicurata.
Ma la verve ironica dei consumatori, quando non si tramuta in rabbia impotente, non aiuta a dar conto di quanto effettivamente accade con il prezzo della benzina. Un mistero (laico) anche questo? In parte sì, condito con il dubbio ricorrente che all’opera ci sia la «solita» speculazione. vero che la trasparenza non è il tratto distintivo della distribuzione petrolifera: per un lungo periodo dopo il 2002, come ricordava tempo fa Gustavo Ghidini, sulle autostrade nazionali non si sono più visti i totem che consentivano di leggere il prezzo prima di entrare nella stazione di servizio o quelli che segnalavano dove trovare il valore più basso. La «nobilissima» ragione della scomparsa era che avrebbero distratto i guidatori emesso a repentaglio la loro sicurezza. Non le tasche dell’intera catena, comunque, Stato compreso.
I petrolieri non lo ammetteranno mai, ma la cosiddetta «doppia velocità» di adeguamento dei listini sembra proprio essere una pratica diffusa. Difficilmente dimostrabile e magari più facilmente smentibile se, come spesso accade, consumatori e produttori parlano lingue diverse: chi si riferisce ai prezzi del petrolio greggio e chi a quelli del prodotto già raffinato (e ai cosiddetti prezzi Platts). Ma malgrado gli studi econometrici provino a mostrare il contrario, si tratterebbe di un’attitudine che chi ha lavorato nel settore non riesce a negare: «Non sono cose che si fanno per politica precisa – dice un raffinatore privato che opta per la riservatezza’ ma i petrolieri sono tendenzialmente più solleciti a intervenire quando il barile sale piuttosto che quando scende. A volte anticipano addirittura gli aumenti, e invece aspettano uno o due giorni quando il petrolio va giù». Con altrettanta schiettezza, però, aggiunge: «L’idea che aspettino scientemente che la gente si muova in massa con l’auto per alzare i prezzi non è realistica. Se non altro perché sanno che in quei periodi si è molto più controllati, e che ci si trova nell’occhio del ciclone».
Bisogna ammettere, in effetti, che sfiorando gli 84 dollari al barile, proprio ieri il brent del mare del Nord ha toccato il suo livello più alto dall’ottobre del 2008. Una (sfortunata) coincidenza per le tasche degli automobilisti, dunque. Ma non ci si può fermare lì. La «materia prima», cioè la quotazione della benzina una volta uscita dalla raffineria, pesa per poco più del 30% sul cosiddetto prezzo alla pompa. E sulla materia prima si scaricano non solo gli andamenti del greggio, ma anche il cambio tra l’euro e il dollaro (il petrolio si scambia in dollari) che ha visto la moneta europea perdere un po’ meno del 10% dall’inizio dell’anno. Un’altra sfortuna? Si direbbe di sì se non fosse che, in realtà, è il Fisco a incamerare un buon 60% del prezzo di un litro di carburante. Intanto con le « accise», le imposte fisse (più del 40%) che incorporano addizionali a dir poco curiose, e ancora in legittimo vigore. Nella loro sequenza storica vanno dal prelievo per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935, la crisi di Suez del ”56, il Vajont (’63), l’alluvione di Firenze (’66), il Belice (’68), il Friuli (’76), l’Irpinia (’80), la guerra in Libano (’83), la missione in Bosnia (’96) e, da ultimo, il contratto dei ferrofilotramvieri del 2004. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse di mezzo anche l’Iva, con il suo 20%, che grava a sua volta anche sull’accisa, producendo l’effetto della «tassa sulle tasse» che fa sì che a ogni incremento del litro di verde (o di gasolio) lo Stato si sdoppi. Da una parte fa la voce grossa promettendo di vigilare. Ma dall’altra incassa, e non poco. Spesso si parla di «sterilizzazione» dell’Iva ed è accaduto anche in questi giorni, a conferma che il dibattito è ormai un po’ trito. Pare difficile, infatti, che di questi tempi l’Erario rinunci anche solo a una piccola fetta dei 30 miliardi di euro tra accise e Iva incamerati nel 2009, in cambio del ruolo di «stabilizzatore» del prezzo di benzina e gasolio.
Infine ci sono loro, i gestori, che pesano però per una parte minima di tutta la catena. Sono solo una frazione di quel 9-10% che rimane da spartire del prezzo alla pompa e che deve remunerare tutta la filiera: stoccaggio, distribuzione, commercializzazione e relativi oneri relativi. Il margine del gestore, insomma, si aggirerebbe sui 5 centesimi al litro. Non si può escludere che, come parte più debole del sistema, qualcuno interpreti in modo un po’ più «fantasioso» il suo ruolo e ci marci. Ma per loro il futuro non è radioso. Solo per il fatto che in Italia ci sono 24mila punti vendita (contro i 15 mila della Germania e i 12mila della Francia) e nel giro di pochi anni 5-6.000 potrebbero chiudere.
Stefano Agnoli