Giornali vari, 15 marzo 2010
Anno VII - Trecentotredicesima settimana Dall’8 al 15 marzo 2010Trani Mancano dieci giorni alle elezioni regionali, il clima politico si è frantumato in una miriade di casi velenosi, un insieme che potrebbe chiamarsi, riprendendo una figura retorica di Giuseppe De Rita, ”mucillagine tossica”
Anno VII - Trecentotredicesima settimana Dall’8 al 15 marzo 2010
Trani Mancano dieci giorni alle elezioni regionali, il clima politico si è frantumato in una miriade di casi velenosi, un insieme che potrebbe chiamarsi, riprendendo una figura retorica di Giuseppe De Rita, ”mucillagine tossica”. L’ultima pillola letale arriva dalla procura di Trani. Qui un pubblico ministero che indagava su un giro di carte di credito sospette è incappato a un certo punto in telefonate di Berlusconi. In una di queste conversazioni il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, si compiaceva col premier di certi servizi ancora da mandare in onda in cui si dimostrava che i giudici sono politicizzati. Berlusconi chiamava Minzolini ”Direttorissimo”, cosa che ha indignato molti giornali, dimentichi che il Cavaliere riserva l’appellativo di Direttorissimo anche ad Alfonso Signorini, almeno. In un’altra conversazione il capo del governo spinge su un membro dell’AgCom – il Garante della Comunicazione – affinché si trovi il modo di sospendere Annozero. Questo membro dell’AgCom si chiama Giancarlo Innocenzi ed è un ex dipendente del Cavaliere. L’AgCom, in quanto Authority e Garante, dovrebbe essere organo di massima indipendenza. Nella telefonata Innocenzi consigliava il suo ex principale di fargli arrivare un esposto.
Domande Tutto questo chiacchiericcio – il solito chiacchiericcio, peraltro – è arrivato per qualche via misteriosa al quotidiano Il Fatto, che i nemici di Travaglio considerano house organ delle procure e che comunque è quello che con maggior vigore si batte contro Berlusconi e il berlusconismo. Premesso che Il Fatto ha fatto benissimo a pubblicare quello che ha pubblicato, le questioni sollevate dall’affare di Trani sono parecchie. Ci limitiamo ad elencarle partendo dalla fine: 1. Chi ha dato al Fatto, e perché, i riassunti delle telefonate intercettate? 2. Come mai un pubblico ministero, incappato casualmente in telefonate che non riguardano la sua inchiesta e non riguardano la sua procura, invece di passare subito la mano alla procura competente (in questo caso Roma) continua ad ascoltare finché il contenuto di quelle rivelazioni non finisce sui giornali ottenendo quindi un grande effetto politico? 3. Come mai, dovendo formare il board di un’autorità di Garanzia, si va a scegliere un ex dipendente di qualcuno che dovrà essere sottoposto al controllo del medesimo garante? 4. mai possibile che costui non capisca che non può stare al telefono con nessuno dei soggetti da monitorare e meno che mai dandogli consigli? 5. cosciente il presidente del Consiglio che chiamare al telefono un membro dell’autorità garante per dargli ordini è come minimo malcostume? Ci fermeremmo qui, essendo il caso Minzolini tutt’altra storia. In via puramente teorica, anche il direttore del Tg1 non dovrebbe essere disturbato dall’autorità politica. Ma, dal tempo dei tempi, i partiti si considerano senza eccezioni azionisti della Rai, e con diritti acquisiti nella propaganda che ciascuno si aspetta dai notiziari. E del resto non c’è giornalista delle reti pubbliche che non sia arrivato a Saxa Rubra grazie a una tessera e che non si senta parte di questo o quello schieramento. Anche le richieste di dimissioni da parte del cdr e di altri nemici interni, prese a ridere peraltro dal Direttorissimo, fanno semplicemente parte del gioco.
Liste L’altra faccenda, quella delle liste bocciate a Milano e a Roma e del decreto intepretativo, è finita poi a coda di pesce: i giudici di Milano hanno riammesso il listino di Formigoni bacchettando i loro colleghi che l’avevano respinto e dichiarando che la loro sentenza prescindeva del tutto dal decreto di Berlusconi. I giudici del Lazio hanno invece bocciato la lista del Pdl presentata in ritardo a Roma e dichiarato che vige qui la normativa regionale e che il governo, decreto o non decreto, non ha quindi titolo per interloquire. Berlusconi ha convocato una conferenza stampa furibonda in cui ha sostenuto che i casi di Milano e di Roma sono frutto di un complotto contro di lui e che reclamerà il diritto al voto con una manifestazione a Roma (sabato prossimo). Mentre parlava, un radicale di nome Rocco Carlomagno interloquiva di continuo, al punto che Berlusconi lo ha ripreso e poi ha pregato di allontanarlo, incombenza di cui, almeno apparentemente, ha provato a caricarsi addirittura il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Tensione, ma anche sarcasmi. Intanto, l’altra manifestazione indetta dalla sinistra per contrastare il decreto interpretativo, s’è svolta sabato scorso in piazza del Popolo a Roma. Senza incidenti e senza i promessi slogan dipietristi contro Napolitano.
Vanacore Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile di via Poma, s’è messo una pietra al collo, s’è legato con una corda una caviglia a un albero e s’è poi gettato in mare da uno scoglio di Torre Ovo, frazione di Marina di Maruggia, provincia di Taranto. L’avevano convocato in tribunale per l’ennesimo interrogatorio relativo al delitto di vent’anni fa. Sui biglietti scritti prima del suicidio si legge: «Venti anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio». In un ufficio di via Poma 2, poco prima della mezzanotte del 7 agosto 1990, venne ritrovato il cadavere di una bella ragazza di 21 anni, Simonetta Cesaroni, finita da qualcuno con 29 coltellate. Vanacore, prima accusato e incarcerato, poi scagionato del tutto, era sempre però stato sospettato di saper qualcosa che non diceva o non voleva dire. Anche ora che se n’era andato da Roma a godersi la pensione nel paese natale, Monacizzo, frazione di Torricella (sempre in provincia di Taranto). Adesso che gli inquirenti credono di aver trovato l’assassino (si sta processando il fidanzato che Simonetta aveva a quel tempo, un uomo oggi sposato e con due figlie, di nome Raniero Busco), Vanacore avrebbe dovuto raccontare per l’ennesima volta i fatti di quella notte. Non se l’è sentita.
Vallanzasca Polemiche perché Renato Vallanzasca, il famoso bandito condannato a quattro ergastoli e 260 anni di carcere per aver compiuto sette omicidi, tre sequestri di persona e un numero impressionante di rapine a mano armata, gode adesso, dopo quasi quarant’anni di carcere sia pure interrotti da quattro evasioni, di un regime di semilibertà. Dallo scorso 8 marzo nel carcere di Bollate passa solo la notte, durante il giorno invece va a lavorare nel laboratorio milanese di Ecolab, una cooperativa che fabbrica pelletteria a basso costo quasi tutta formata da ex detenuti. L’ha fondata una decina d’anni fa la moglie di Vallanzasca, Antonella D’Agostino, che ha detto ai giornalisti: «Renato s’è rassegnato alla semilibertà e al lavoro solo per farmi un favore». Il bandito, passione di tante donne che gli spedivano in carcere proprie foto piccanti, non è mai stato tenero con se stesso. Nella domanda di grazia, presentata a Napolitano per far piacere alla madre, e poi respinta, aveva scritto: «Perché dovrebbe essermi concessa la Grazia? Sinceramente non lo so. Pensandoci e ripensandoci mi sovvengono molte più ragioni per non concedermela, visto i tanti disastri commessi».
Francia Alle elezioni regionali francesi di domenica scorsa hanno vinto gli astensionisti (ha votato meno della metà degli aventi diritto, record storico) e ha perso Sarkozy: il partito del presidente, l’Ump, è arretrato in tutte le circoscrizioni. I socialisti di Martine Aubry hanno quasi raddoppiato i consensi rispetto alle ultime politiche, ponendo fine a una sequenza annosa di sconfitte catastrofiche. Nuovamente in progresso i fascisti di Le Pen.