VALERIA FRASCHETTI, La Stampa 2/4/2010, pag. 20, 2 aprile 2010
UCCISO IN UN TRIANGOLO D’AMORE
Un’amicizia nata a Londra li porta a partire insieme. Tutti e tre, affiatati, in volo verso Oriente. Atterraggio a Mumbai, una tintarella sulle spiagge di Goa, poi una boccata di misticismo a Varanasi. E’ qui, nella città più sacra del Subcontinente, che l’armonia fra i tre giovani italiani, espatriati per lavoro nel Regno Unito e turisti in India dal 28 dicembre, s’incrina in modo fatale. Francesco, che per primo era riuscito a conquistare Elisabetta, cade in «forte depressione» non appena lei inizia ad avere una relazione con Tomaso. L’amicizia, quindi, che si trasforma in un maledetto triangolo amoroso: è questa la tesi della polizia indiana che sta indagando sulla morte di Francesco Montis, trentenne d’origine sarda.
Era al Caffè Costa della capitale britannica, in cui lui lavorava come cameriere, che aveva conosciuto i due compagni di viaggio - Elisabetta Boncompagni, 36 anni, torinese e Tomaso Bruno, 27 anni, di Albenga - che ora si trovano nel carcere di Varanasi con l’accusa di averlo ucciso. Il vice-commissario della città, Sageer Ahmad, dice che l’autopsia «non lascia dubbi»: è stato omicidio. In più, parla dell’esistenza di imprecisate «prove circostanziali» e del fatto che i tre facevano uso di droghe e dormivano nella stessa camera d’albergo.
Proprio da quella stanza, la mattina del 4 febbraio, Elisabetta e Tomaso telefonano alla hall chiedendo di chiamare un’ambulanza: il loro amico sta male. Francesco viene portato via in uno stato di semicoscienza, ma quando arriva in ospedale non c’è più niente da fare. I due chiamano l’ambasciata italiana di Nuova Delhi per avvertire della morte dell’amico. Ma 48 ore dopo la polizia li arresta: l’autopsia parla di morte per asfissia da strangolamento e sei ferite da oggetto contundente sulla testa e sul collo.
Elisabetta e Tomaso dicono che l’accusa è falsa, che loro tre erano solo buoni amici e, soprattutto, che Francesco non stava bene di salute. A corroborare la loro versione c’è pure la famiglia Montis, che ha scritto alla procura indiana per spiegare che loro figlio soffriva di una patologia respiratoria. Un problema che potrebbe essersi complicato durante il soggiorno in India fino a causarne la morte. Da Terralba, provincia di Oristano, la mamma, Anna Rita Conca, dice di non avere alcun dubbio: «Francesco non è stato ammazzato».
Di certo per ora c’è solo che Elisabetta e Tomaso si trovano dietro le sbarre da due mesi. «Stanno abbastanza bene», ha dichiarato a La Stampa una fonte diplomatica dell’ambasciata italiana, che ha già effettuato una visita ai ragazzi e ha in programma di tornare a trovarli nei prossimi giorni. La rappresentanza diplomatica di Nuova Delhi ha fatto anche sapere di essere in «costante contatto» con i difensori che stanno seguendo il caso. Appartengono allo stesso studio legale, Titus, che qualche mese fa aveva ottenuto l’assoluzione in primo grado di Angelo Falcone, altro giovane turista italiano intrappolato dalla giustizia indiana. Che, certo, non brilla d’agilità. Ma, intanto, è stato annunciato che il 19 aprile ci sarà l’udienza per decidere se concedere la libertà dietro cauzione.
Quanto al corpo di Francesco, è stato cremato. Stando a fonti diplomatiche, pochi giorni dopo il suo decesso è arrivata dall’Italia un’amica con una delega dei Montis per effettuare la cremazione e il rimpatrio dei resti. Quantomeno, secondo le credenze indù, essere cremati a Varanasi garantisce un addio sereno da questa vita.