Elena Castagna, Il Messaggero 2/4/2010, 2 aprile 2010
ROVINATI DALL’AZZARDO, TRE PERSONE SU 100 SONO "GIOCATORI PATOLOGICI"
Quando i genitori di Alberto hanno scoperto che il loro adorato figlio era sul lastrico, non hanno voluto credere ai messaggeri di tale notizia. Alberto aveva sempre guadagnato bene, i soldi li spendeva con la fidanzata nei ristoranti o in vacanza, mica dietro quelle stupide macchinette che ti rovinano la vita. Eppure qualcosa era successo davvero: la ragazza da un po’ di tempo non si faceva più viva e dovevano esserci anche problemi sul lavoro perché non parlava più dei suoi successi ed era persino arrivato a chiedere soldi in prestito. Forse era vero: Alberto era sul lastrico perché aveva perso tutto al gioco, non parlava più di lavoro perché preferiva chiudersi un bar a scommettere invece che timbrare il cartellino e non vedeva più la sua ragazza perché lei, sentendosi trascurata, lo aveva lasciato.
Alberto non è il solo. Non tanto per i due suicidi e il sequestro dell’Aquila, che hanno nel gioco la loro radice, ma perché i numeri parlano chiaro: quasi un milione e mezzo di persone sono giocatori compulsivi, il 2,7 per cento della popolazione, secondo i dati del Coordinamento Nazionale gruppi per giocatori d’azzardo (Conegga) che lo scorso dicembre ha diffuso questi dati, a fronte di una cifra presunta di 700 mila. Puntano su Gratta e Vinci, Superenalotto, Lotto, impazziscono per il Videopoker, trascorrono il loro tempo libero davanti alle Slot. Non sono solo benestanti, in tempo di crisi la schiera dei giocatori compulsivi si arricchisce di lavoratori precari (9,1 per cento), disoccupati (9,5 per cento) e pensionati (11,1 per cento). E sono tutte persone dal futuro incerto: il tasso di suicidio per i giocatori d’azzardo patologici è venti volte superiore a quello per i non-giocatori.
E’ un grande problema nazionale, la cui soluzione passa non tanto per la volontà del giocatore che è definito compulsivo proprio per la sua incapacità di controllare la volontà, ma dallo studio del medico specializzato nelle dipendenze. A Roma, al Gemelli c’è un day hospital che assieme al gioco compulsivo cura le dipendenze da alcol, cocaina, internet e tabacco e dove l’identikit del giocatore viene così descritto: persona che presenta assoluta incapacità di smettere assieme a veri e propri segni di assuefazione, sintomi di astinenza evidenti, desiderio incontrollato di scommettere. Luigi Janiri, psichiatra, è il responsabile degli ambulatori di Psichiatria e dipendenze del Gemelli. Dice che, per gravità, il gioco patologico è pari alle dipendenze da sostanze stupefacenti. «Anche se viene definito un ”disturbo del controllo degli impulsi” - spiega - è una vera e propria dipendenza, sempre più importante e pericolosa perché vede famiglie rovinate e carriere distrutte».
Un problema sociale che nella sola Roma riguarda 270 mila persone, i giocatori patologici della Capitale, quasi tutti maschi, appassionati di Bingo, Gratta e Vinci, Scommesse, Lotterie Videopoker se sono nella fascia tra i 18 e i 25 anni, rapiti da Slot, Poker, Videopoker, giochi da Casinò se hanno tra i 35 e i 45 anni. Sono queste le due fasce di età più a rischio, secondo Janiri: «Arrivano all’ambulatorio - racconta - su spinta dei familiari che sono in grado di percepire la grave situazione in cui si trova il loro caro. Ma anche il paziente ha una propria motivazione: ha scoperto che non riesce più a controllarsi, che la febbre del gioco lo sta divorando. La cura consiste in un trattamento multimodale: si comincia con l’autoaiuto, gruppi di persone sulla falsa riga degli alcolisti anonimi poi, superata la parte acuta, i pazienti vengono indirizzati o verso una psicoterapia, o ad altre terapie di tipo farmacologico. Sull’immediato l’efficacia del trattamento è visibile per tutti, poi altri ci ricascano, ma in generale dopo un anno il 50-60 per cento per pazienti continua ad astenersi dal gioco».
Un buon risultato che il terapeuta ottiene anche perché riesce in qualche modo a entrare nella mente del giocatore, a scoprire quel pazzo vortice che lo porta alla rovina, in alcuni casi - abbiamo visto - anche alla morte. Una sofferenza struggente che nasce non dall’impulso a vincere, come facilmente si crede, ma dall’opposto: «Il desiderio di perdere - spiega Janiri - è più forte della vincita. Vincere non spinge a giocare ancora, perdere motiva un impulso inarrestabile».
La mente del giocatore, un rebus senza soluzione, quella cosa che spinge Marco, una volta uscito dal lavoro a trasformarsi in un altro uomo, lui che potrebbe godersi le soddisfazioni di una bella professione, ottenuta dopo tanti anni di studio, entra invece nel solito bar, beve due o tre birre, si chiude in se stesso, si piega sulla Slot e sta lì finché il barista lo caccia per chiudere.